La Gazzetta dello Sport

BAGLIONI, PERCHÉ QUEL NO ALLO SPORT?

Il Festival di Sanremo e lo sport

- di PIER BERGONZI

E sattamente 30 anni fa: Massimo Ranieri stava per salire sul palco del Palarock di Sanremo per intonare «Perdere l’amore», mentre Alberto Tomba stava per far ubriacare i paletti dello slalom olimpico di Calgary 1988.

Esattament­e 30 anni fa: Massimo Ranieri stava per salire sul palco del Palarock di Sanremo per intonare «Perdere l’amore», mentre Alberto Tomba stava per far ubriacare i paletti dello slalom olimpico di Calgary 1988. A grande richiesta del pubblico il Festival si fermò, lasciò spazio al rock d’oro di Tomba che fece da apripista al successo di Massimo Ranieri. Spettacolo su spettacolo.

Domani scatta l’Olimpiade invernale in Corea e non c’è pericolo che il Festival si fermi... E nemmeno che tra gli ospiti ci sia quel vulcano di Albertone Tomba. No, perché Claudio Baglioni, il super direttore artistico di questa edizione, ha detto che sul palco dell’Ariston non vuole «né astronauti né campioni dello sport...». Ha detto proprio così ed è comprensib­ile che voglia segnare un netto distacco con il passato e faccia di tutto per riportare la musica al centro del villaggio.

Claudio Baglioni è un gigante della canzone italiana. È nato, proprio come Massimo Ranieri, nel 1951, che è poi l’anno della prima edizione di Sanremo. È cresciuto col Festival e sa benissimo che si tratta del più importante spettacolo popolare italiano. È un’icona. Nazionale di calcio e finali di Champions a parte, praticamen­te tutti i record d’ascolto della nostra tv scandiscon­o le varie edizioni. Sport e musica come due facce della stessa spettacola­re moneta.

Abbiamo troppa stima per Claudio Baglioni e sappiamo che è anche un uomo vicino al grande sport. Ha scritto l’inno dei Mondiali di nuoto e ha dedicato una canzone al centenario della Federcalci­o. Apprezziam­o lo sforzo di restituire al Festival il primato della musica. Ma dal nostro piccolo grande mondo dello sport ci poniamo una domanda. Siamo sicuri che un Valentino Rossi che prova a cantare Vasco o Jovanotti, o una Federica Pellegrini che si lancia a duettare con Michelle Hunziker, sarebbero stati meno «spettacola­ri» di Gabriele Muccino e del Mago Forrest, di Stefania Sandrelli e Stefano Accorsi? E la simpatia di Alberto Tomba, 30 anni dopo quell’interruzio­ne che è storia della tv e del nostro Paese, avrebbe fatto torto a qualcuno?

Fausto Coppi e Gino Bartali cantarono insieme «C’eravamo tanti amati...» al Musichiere di Mario Riva. Non era a Sanremo, ma quel duetto resta magico e fresco dopo 60 anni. E ci fa pensare che lo sport non dovrebbe essere messo ai margini, a prescinder­e, del nostro evento più popolare. Lo sport, come la musica, non è metafora della vita. È parte della vita. La nostra vita.

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