Pazzesco: i genitori li istigavano «E i figli hanno rischiato la vita»
Una squadra dilettantistica costruita sul doping e spazzata via dalla più importante inchiesta della Polizia e della magistratura degli ultimi anni. Il doping come sistema anche in ambito giovanile, come essenza della gestione sportiva di una formazione che dovrebbe educare allo sport, al rispetto delle regole e degli avversari, all’etica. Per conquistare quante vittorie? Zero. Sì, avete letto bene: zero vittorie nella stagione 2017, appena cinque piazzamenti nei primi tre, con corridori sconosciuti. E’ l’abisso doping del team che aveva il suo destino nel nome: Asd Gran Fondo del Diavolo Altopack, base a Capannori (Lucca). Modesta squadra dilettantistica. Ma con questa maglia ha corso nel 2017 Linas Rumsas, figlio di Raimondas, 21 anni, morto il 2 maggio a casa, dopo essere andato il giorno prima in ospedale perché si era sentito male. E’ la scintilla che fa scattare l’inchiesta, che apre il pentolone dell’orrore sportivo. Ma piano a collegare la morte di Linas con il doping: «Il suo caso è ancora aperto e coperto da indagine, e non possiamo fare nessun collegamento con quanto svelato oggi, anche se c’è il fondato sospetto — spiega il procuratore capo di Lucca, Pietro Suchan —. Ma la nostra inchiesta ha portato alla luce un panorama inquietante di sicura valenza criminale, con una estensione del fenomeno doping inimmaginabile. Qui si gioca con la salute dei ragazzi, che rischiano la vita per il dio successo. La nostra indagine va dritta alla coscienza di tutti noi».
SISTEMA Basi logistiche e di approvvigionamento, consulenze mediche (un notissimo dottore del ciclismo professionistico che spiegava come utilizzare il doping ed eludere i controlli) e legali, un farmacista-cicloamatore infedele che fornisce ormoni, testosterone e oppiacei; un fornitore capace di procurare l’Epo dai canali esteri. La mamma del presidente della società che, in ciabatte, va a ritirare due buste con le sostanze dopanti, come se fosse la spesa quotidiana. Le siringhe di Epo, pronte all’uso, nascoste in frigorifero nel cassetto della frutta, in mezzo alle arance. Apri, prendi e ti dopi. Ragazzi incitati dalle famiglie a far uso di doping, genitori che contribuiscono all’acquisto. Ma anche il dramma, questo sì, di qualcuno tra i corridori più giovani, dilettanti di 18-19 anni, che cerca disperatamente di resistere alle richieste dei manager del team, ma alla fine, purtroppo, è costretto a inchinarsi a una vita ciclistica fatta di aghi, siringhe, cateteri per endovena, ormoni della crescita e oppiacei, sì, come il potentissimo Tramadol, che trasforma la fatica in un ricordo: in gocce, è distribuito nei panini del rifornimento, come emerso da altre testimonianze.
ESPERTI La morte di Rumsas svela un sistema oliato che colpisce anche gli inquirenti della Procura della Repubblica di Lucca e gli agenti della Squadra Mobile con la dottoressa Silvia Cascino. Per l’importanza dei canali di approvvigionamento (forse stranieri) interviene in supporto lo Sco (il Servizio centrale operativo, sezione Antidroga di Roma) della Polizia. Ieri mattina il primo tempo dell’indagine si chiude: sono arrestati e portati ai domiciliari Luca Franceschi, proprietario dell’Asd Altopack, che reclutava i ciclisti, li motivava al doping e procurava le sostanze; i suoi genitori, Narciso Franceschi e Maria Luisa Luciani, proprietari dell’abitazione a Capannori (Lucca) dove venivano effettuati i trattamenti; Elso Frediani, direttore sportivo dell’Altopack, che si preoccupava di garantire ai ciclisti le consulenze mediche per eludere i controlli; Michele Viola, ex corridore e preparatore atletico dell’Altopack, che riforniva il team di Epo (25 fiale sequestrate nei suoi frigoriferi); Andrea Bianchi, il farmacista-cicloamatore che portava ormoni e altri farmaci. L’accusa per cinque di loro (non per Viola) è di associazione a delinquere; per Franceschi, Frediani e Viola c’è anche la commercializzazione di farmaci dopanti. Gli indagati sono in tutto 17: innanzitutto i ciclisti della squadra, per frode sportiva e violazione della legge penale antidoping 376/2000 e per i quali le carte sono già alla Procura antidoping Coni; un avvocato di Lucca, che spiegava come eludere le indagini; la compagna del presidente, che portava i farmaci alle gare. La conclusione di questa triste giornata è ancora nelle parole del procuratore Suchan: «E’ il momento di non scherzare più. Chi vuole collaborare, lo faccia ora, non tra un anno. Perché dobbiamo voltare pagina ed evitare sofferenze inimmaginabili per la morte di giovani sportivi. Dobbiamo ridare allo sport la dignità che merita».
LA CHIAVE Qualche giovane ha provato a ribellarsi al sistema, però alla fine ha ceduto
Epo, ormoni, insulina Ma le vittorie dei dilettanti a fine 2017 sono state zero