«Il melone giallo è l’eritropoietina C’è anche il jolly»
Un’indagine tra pedinamenti, controlli visivi, soprattutto intercettazioni telefoniche. «Uno strumento indispensabile. Senza, non avremmo mai raggiunto questi risultati», dice il procuratore Suchan. E il p.m. Giannino sottolinea «il clima di omertà totale. C’era un vincolo associativo fortissimo. Abbiamo trovato tante di quelle sostanze che nemmeno in un ospizio... Era una clinica». LUOGHI Il «trattamento», che prima della morte di Linas Rumsas era fatto nel ritiro della squadra a Capannori, dove vivevano i corridori, è stato poi spostato nella casa dei genitori di Franceschi, presidente Altopack, ritenuto più sicuro. Dice la dottoressa Cascino (Squadra Mobile della Polizia): «Il trattamento iniziava già la domenica dopo la gara con i disintossicanti, e proseguiva con sostanze come l’Epo». Ancora: «Avevano stratagemmi nel parlare ed elaborato persino un sistema per gettare la spazzatura con aghi, cannule, siringhe. Il sistema ci ha incuriosito: facevano lunghi giri in macchina, di qualche chilometro, per spostarsi da casa di poche centinaia di metri, stando attenti a non farsi vedere».
PAROLE Il gergo, dicevamo. Una costante di chi traffica il doping. Ancora Cascino: «Per l’Epo, parlavano di meloni gialli e verdi, a seconda del dosaggio. L’abbiamo trovata in dosi da 10, 20, 30, 40.000 unità, e infatti le siringhe cambiano colore a seconda della quantità. E poi c’era il jolly, proposto ai corridori alla vigilia di corse importanti. Ci siamo arrovellati per capire che cosa fosse, poi abbiamo capito che era un farmaco con effetti immediati. Si prendeva poco prima della gara e si smaltiva velocemente, tanto che non l’abbiamo trovata ai controlli antidoping organizzati per il dopo-gara. Era una siringa di insulina, era un ormone, potevano essere pastiglie».