La Gazzetta dello Sport

STORICA CERIMONIA GIOCHI DI PACE

Due atlete, una per Paese, hanno portato la fiaccola al braciere olimpico Il Presidente della Corea del Sud dà la mano alla sorella del dittatore Kim Jong-un

- Valerio Piccioni INVIATO A PYEONGCHAN­G (SUD COREA)

Riesce alla pelle d’oca l’impresa che il kit anti-freddo distribuit­o a tutti gli spettatori fallisce: per almeno un attimo non sentiamo il morso delle ore passate a sei-sette gradi sotto zero. Succede quando i 35mila dello stadio a pentagono di PyeongChan­g capiscono che sta arrivando la bandiera bianca con qualcosa di blu sopra. Il qualcosa di blu è la penisola, quasi un disegno di un bambino, la Corea che per una sera è una e «unificata», insieme Nord e Sud, invitata a cena dall’Olimpiade invernale. Si avverte come un tuffo al cuore e ti imponi di non crederci troppo perché la retorica è una brutta bestia e perché anche lo sport si iscrive anche lui spesso e volentieri alla gara delle illusioni. Ma dura un niente, chi se ne importa, lasciateci credere che la «pace sia davvero in movimento», che Nelson Mandela avesse proprio ragione dicendo «lo sport può cambiare il mondo», che i cinque bambini pifferai magici della cerimonia di apertura possano ritrovarsi fra qualche anno raccontand­osi: noi c’eravamo. C’eravamo quando un’esibizione di atleti del Nord e del Sud ha ricordato che il taekwondo è nato qui e guai a chi lo tocca. Quando il bobista Won Yun-jong (del Sud) e la giocatrice di hockey ghiaccio Hawang Chung-kum (del Nord) hanno retto insieme quella bandiera così semplice, così ingenua, così piena di significat­o. Quando altre due ragazze, una del Nord (Chung Su-hyon) e una del Sud (Park Jong-ah), della squadra di hockey «unificata» hanno consegnato a Yu-na Kim, l’ex grande rivale di Carolina Kostner, la fiaccola con cui la pattinatri­ce, ultimo tedoforo, ha acceso il braciere olimpico.

DIALOGO Nella tribuna dei presidenti, dei premier, dei re e dei principi, intanto succede qualcosa. Moon Jae-in, il presidente innovatore della Corea del Sud, ha già preso la sua strada: dialogo, dialogo e ancora dialogo. Arriva, si volta e incrocia subito un abbozzo di sorriso di Kim Yojong, la sorella del dittatore rimasto a casa. Una stretta di mano cordiale, senza imbarazzi. Quelli che il vice di Trump, Mike Pence, ha voluto evitare lasciando la sua sedia vuota al riceviment­o pre-cerimonia, tanto per evitare incontri che avrebbero smentito i toni e la politica del suo capo. Forse Yo-jong porta un messaggio del fratello, forse c’è anche una data per un invito ufficiale: vediamoci a Pyongyang (quella senza la e il ch al posto della y, la capitale della Corea del Nord). I Giochi avranno già proiettato allora sullo schermo il tradiziona­le see you in Bejing 2022 e forse sapremo di più di questa serata e delle sue conseguenz­e. Lo sapranno anche i coreani di dentro e magari pure quelli di fuori, che fuori dallo stadio hanno protestato per quella bandiera messa da parte a vantaggio del drappo bianco e blu e per l’inno nazionale che ha dovuto dividere la ribalta con un vecchio motivo del folclore coreano, di quando si stava ancora insieme, magari per combattere l’invasore giapponese (non a caso, c’è stato qualche fischio alla presentazi­one della squadra nipponica).

PIUMINI Però in quel momento, almeno in quel momento, i dubbi vengono cacciati dallo stadio, gli occhi sono tutti sui 219 piumini bianchi, 46 sono quelli indossati dai nordcorean­i. Anche la volontaria che ha ballato per tutta la sera fra un’indicazion­e e l’altra da dare, si ferma: è rapita da qualcosa. E chissà che cosa pensano, lassù, nello spicchio di spalti più in alto, all’opposto della tribuna dei capi, le cheerleade­rs tutte rosse, l’«armata della bellezza» come la chiama il dittatore: c’è qualcosa di inquietant­e nel loro muoversi tutte insieme come una sola persona, eppure anche dentro di loro deve esserci una speranza. La speranza. Thomas Bach, il numero uno del Cio, grande tessitore del ribaltone diplomatic­o (a cui ha dato un contributo fra gli altri anche Mario Pescante) che ha trasformat­o il «rimaniamo a casa» in un «va bene, arriviamo», parte da questa parola. «La squadra dei rifugiati a Rio diede un potente segnale di speranza. La sfilata della Corea unificata è un potente segnale di pace». Pace: una cosa serissima perché vuole scongiurar­e un pericolo. Pericolo che a volte, succede anche questo, confina con la burla, quando vengono fermati due sosia di Trump e di Kim Jong-un.

VOLTI E COLORI La storia delle due Coree si prende tutto. La cerimonia del record dell’utilizzo

PRO E CONTRO

Sul palco storica stretta di mano tra Moon e la sorella del dittatore Kim

Ma fuori dallo stadio c’è chi protesta per la bandiera messa da parte

dei droni e delle 1070 telecamere, la Corea di una volta e quella di oggi, ultraconne­ssa e ultradigit­ale. E anche lei, la nostra Arianna Fontana, orgogliosa nel suo portare la bandiera, pronta a mettersi quei colori addosso anche quando scenderà in pista già oggi nel suo short track. «Con la bandiera in mano nessuna paura». E le sciarpe bianche dei russi, dei russi che non si chiamano Russia ma «atleti olimpici della Russia», quanta roba è successa dall’Olimpiade ultramilia­rdaria di Putin e i tanti scandali doping che l’hanno seguita. E il solito uomo di Tonga, mister Pita Taufatofua, che dopo aver conquistat­o il Maracanà due anni fa ora replica – a torso nudo! – portando la bandiera del suo Paese e lasciando il dobok del taekwondo per scegliere gli sci del fondo. E pure il nostro vecchio nemico Ahn, anche per lui un po’ di percorso della fiaccola, quello del Perugia, ma soprattutt­o del 2-1 che ci eliminò al Mondiale di calcio disputato da queste parti nel 2002.

LENNON Non c’è niente da fare, si ritorna subito a pensare a loro, al Nord e al Sud. Anche «Imagine», suonata pure a Torino 12 anni fa e oggi cantata mentre le figure in campo disegnano una colomba della pace che a un certo punto si trasforma ricordando­ci il fascino del golfo di Napoli, asseconda il copione. Intanto tornano in scena i cinque bambini, cinque come i cerchi olimpi- ci, cinque come i continenti. Sono loro il futuro. E futuro fa venire in mente un articolo che Pier Paolo Pasolini scrisse nel 1960, commentand­o la cerimonia di apertura dell’Olimpiade di Roma. Raccontava un’epoca di grandi cambiament­i, le tante dichiarazi­oni di indipenden­za di molti Paesi, l’Africa che piantava radici nella geografia politica e sportiva (quindici giorni dopo, Abebe Bikila avrebbe vinto la maratona). L’articolo si intitolava appunto: «Un mondo pieno di futuro». Oggi futuro, parliamoci chiaro, è una parola che si fa fatica a pronunciar­e. Forse il mondo di PyeongChan­g è un mondo di domande. Ma da ieri con una speranza in più.

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Coree unite Un’atleta del Nord e una del Sud vanno verso il braciere olimpico. Sotto, la nostra portabandi­era Arianna Fontana
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La sfilata delle coree unite Arianna Fontana, la nostra portabandi­era, apre la sfilata della delegazion­e azzurra.
Storica stretta di mano tra Kim Yo-jong, sorella del dittatore nordcorean­o Kim Jong-un e il presidente della Sud Corea Moon...
● 1 La sfilata delle coree unite Arianna Fontana, la nostra portabandi­era, apre la sfilata della delegazion­e azzurra. Storica stretta di mano tra Kim Yo-jong, sorella del dittatore nordcorean­o Kim Jong-un e il presidente della Sud Corea Moon...
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