Kramer re del ghiaccio Nei 5000 non c’è storia
●Terzo oro olimpico consecutivo nella gara in cui non perde dal 2012: all’olandese arrivano anche i complimenti di Verstappen
Sven non pattina, accarezza il ghiaccio. Sven non fatica, al massimo si impegna. Sven ha una tecnica tutta sua, da non imitare. Sven Kramer, da anni, è il cannibale della pista lunga. Adesso anche un po’ di più. Perché, grazie alla conquista di un annunciatissimo oro nei 5000 (sulla distanza non perde una gara internazionale dal 2012), centra una serie di record che lo rendono ancor più grande. Oro a Vancouver 2010, oro a Sochi 2014 e oro a PyeongChang 2018: nessun uomo, in alcuna specialità della disciplina, aveva sin qui vinto tre titoli olimpici. Sven li infila consecutivamente. E al filotto aggiunge l’argento di Torino 2006 (davanti a Enrico Fabris). Più il titolo dell’inseguimento a squadre di quattro anni fa (nella storia olimpica estiva e invernale olandese solo il cavaliere Charles Pahud de Mortanges vanta quattro successi come ora Sven) e altre tre medaglie. Anche gli otto podi rappresentano un primato maschile per la pista lunga.
CHE CLASSE Il 31enne olandese è un predestinato: uno che nasce a Heerenveen, là dove sorge The Thialf, mecca sportiva, non può non provare almeno a calzare il pattino lungo.
Lui lo ha fatto da bambino e non se l’è più tolto. Ha talento, carisma, ambizione, doti tecniche e fisiche uniche. Non è un mostro di simpatia, ma che importa? Vederlo in azione, con quell’ampiezza infinita che mangia metri su metri, resta un piacere per gli occhi. E quando sull’anello ghiacciato da 400 metri c’è lui, lo spettacolo è garantito. Perché il copione è sempre lo stesso, ma ogni volta pare diverso e regala emozioni. Sven parte piano, pare non essere in giornata. Invece ha in testa un cronometro e come si gestisce lui non si gestisce nessuno. Quando gli altri cominciano a sentire le fiamme nelle gambe, lui cambia marcia e si esalta. Si prenda questa gara. Quando tocca all’orange, nella decima di undici batterie, gli altri candidati al podio han già pattinato. «Avere riferimenti aiuta — spiega — ma poi sei tu che devi far correre i pattini». Sven sta coperto per tre quinti di gara (è sesto ai 1000, quinto ai 2000 e terzo ai 3000), poi inserisce il pilota automatico e per gli altri, per tutti gli altri, è la fine.
LA GARA Chiude in crescendo, in 6’09”76, proprio record olimpico migliorato di un secondo esatto dopo quattro anni. Una leggenda. Alle spalle della quale, divisi da 2/1000 di secondo (ma a 1”85), si piazzano il canadese primatista del mondo TedJan Bloemen (6”11”616) e il norvegese Sverre Lunde Pedersen (6’11”618). Con una notizia: l’Olanda, che a Sochi vinse 23 delle 36 medaglie in palio (sono intanto diventate 42) e sabato aveva cominciato la raccolta sudcoreana con una tripletta nei 3000 femminili, in questo caso si deve «accontentare» dell’isolato exploit di Kramer. Basta (e avanza) per portare a casa la nona medaglia consecutiva nella specialità. Nella storia olimpica invernale solo gli Stati Uniti del pattinaggio di figura femminile, con 11, hanno fatto meglio. Kramer, sempre Kramer, fortissimamente Kramer. Pure il connazionale Max Verstappen, nuovo fenomeno della F.1, si è complimentato su Instagram: «Fare la storia con tre ori di fila merita tanto rispetto. Leggenda». E adesso Sven ha già il mirino puntato sui 10.000, sulla prova a squadre e sulla Mass Start. Soprattutto sui primi. Chi non ricorda quanto gli accadde a Vancouver quando, nettamente in testa, mal consigliato dall’allenatore, sbagliò un cambio di corsia e venne squalificato? «I festeggiamenti possono aspettare — ammette — non è un segreto quanto sia importante per me quella gara. Già mi chiedete se tornerò a Pechino 2022? Non ne ho idea: forse dovrei rispondere di no, comincio a essere anziano. Ma non si sa mai...».
LA CHIAVE Quando gli altri accusano la fatica, lui accelera con il suo stile personale: «Niente feste, devo pensare ai 10.000»