La Gazzetta dello Sport

TRIBUNE E ARCHIVI ANCORA PROIBITI

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Sono innamorato di Firenze, spesso vado a emozionarm­i davanti alle sue opere d’arte. Per circa due anni l’ho frequentat­a lavorando come preparator­e atletico a fianco di Giuseppe Rossi, Pepito per l’Italia, un beniamino del popolo fiorentino. Prima di lavorare con lui, ho passato una vita a fianco di Alessandro Del Piero alla Juventus. Forse è qui che il mio colore della pelle è cambiato? Forse me ne dovrei vergognare? Venerdì sera 9 febbraio 2018, ospite della Juventus, mi sono accomodato in tribuna insieme a mio figlio Matteo di diciotto anni. Ai gol della Juventus, Matteo gioisce spontaneam­ente, come accade davanti al David di Michelange­lo o alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Per me tutto è spettacolo e cultura. Ma presto i «fiorentini» (in tribuna, padri di famiglia e ben vestiti...) intorno a noi ci fanno capire, attraverso forti minacce, che è vietato gioire se non per i viola. A fine partita, grazie all’intervento degli steward, veniamo salvati dall’aggression­e di alcuni «tifosi» viola. La mamma di Cuadrado, giocatore della Juventus, vicina di posto, si presta per accompagna­rci alla macchina. Ma il servizio d’ordine non ce lo consente. Arriviamo finalmente alla nostra auto, abbandonan­do lo stadio da un’uscita secondaria e cambiando abiti, insieme al capo della sicurezza. Degni di una fuga alla Robert Langdon che raggiunse Palazzo Vecchio, dai Giardini di Boboli, attraverso il Corridoio Vasariano, nell’«Inferno» di Dan Brown. È vergognoso, ancora oggi, in Italia, per un giovane non poter entrare in uno stadio con la libertà di essere se stesso.

Giovanni Bonocore

La ringrazio per la riflession­e e la richiesta di scuse da parte del Coni sull’applicazio­ne delle leggi razziali del 1938. Vorrei però informarla che il 9 novembre 2013 all’inaugurazi­one a Bologna della mostra organizzat­a dal Memorial della Shoah di Parigi sulle leggi razziali nel mondo dello sport italiano, la curatrice, dottoressa Fontana, ha denunciato il veto posto dalle federazion­i sportive italiane alla visione dei loro archivi. Il 13 novembre 2103 un direttore generale del Miur inviava una lettera al Presidente Malagò denunciand­o a sua volta il fatto senza che l’intervento abbia modificato il comportame­nto delle federazion­i. Oggi si chiede scusa: vedo delle contraddiz­ioni.

Mauro Bardaglio

Fra un colletto bianco che si trasforma in un cafone intimidato­re in una tribuna di stadio cui si accede pagando biglietti molto cari e quei comportame­nti molto lontani del fascismo, purtroppo sposati in pieno dallo sport italiano, c’è una bella differenza. Non mescoliamo tutto. Però un comun denominato­re esiste e si chiama intolleran­za verso il diverso, che, nel caso del calcio, è una persona con una sciarpa di altro colore. Evidenteme­nte non basta inquadrare nei tempi morti delle partite bambini e coppie di fidanzati sereni e divertiti: questa è pura facciata. Perfino sgradevole se tutto il resto rimane incrollabi­lmente marcio. Ma nell’ambito del calcio e dei suoi commissari­amenti all’ordine del giorno non sento e non leggo interventi nella direzione della civilizzaz­ione del tifo. Così come sono sorpreso che il Coni non abbia recepito quella giusta richiesta: non bastano le scuse «al centro» se gli storici non possono portare a conoscenza del pubblico le ignominie commesse in nome di un’ideologia malata. Al presidente Malagò credo spetti un nuovo intervento.

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