CRISTIANO, LE BICI E L’«ALL STAR GAME»
Lettere alla Gazzetta
Ma Cristiano Ronaldo non era in crisi dura? Una manciata di gol nella Liga, clamorosi errori sotto porta, storie tese con il club e la tifoseria. Poi all’improvviso, davanti a Neymar, cambia tutto. Chi si sbagliava?
Mario Depretis
Noi e la nostra stramaledetta fretta di catalogare e appiccicare etichette. Parlo di tutti: tifosi, osservatori, allenatori. I quattro cavalieri dell’Apocalisse nel calcio si chiamano «Non è più lui», «Non salta più l’uomo», «Non ha più fame», «Ormai è vecchio». Li lanciamo nelle loro cariche distruttive, soprattutto nei confronti dei cannonieri, appena restano senza gol dalle tre partite in su. Guardate che cosa è stato pensato e detto, solo in questa stagione, di Higuain, Mertens, Hamsik, Icardi, Dzeko. Per non parlare di Perisic e Candreva. Fra non molto accadrà per Immobile. Il catastrofismo critico ha un unico pregio: prima o poi ci azzecca, perché ogni cosa ha una fine. Ma prima di quel momento, avrà sbagliato un milione di volte. Non vale la pena di accodarsi a questo approccio millenaristico: rassegniamoci all’evidenza che anche i fenomeni sono umani e fallibili. Ho letto dell’iniziativa presentata a Roma «Sicuri in bicicletta», in qualche modo intitolata a Michele Scarponi. Ne ero un suo grande tifoso: mi consola un po’ che la sua morte servirà forse a evitare tanti tragici incidenti.
Marcello Aguzzi
Una campagna di grande valore civile, soprattutto perché si svilupperà nelle scuole. È evidente che gli automobilisti devono modificare del tutto l’approccio alla bici: ho negli occhi tanti incidenti, di varia gravità, per le portiere delle auto in sosta che si spalancano all’improvviso sul ciclista che sopravviene. È uno dei tanti esempi possibili. Ma ho apprezzato molto la dichiarazione dell’olimpionico e testimonial Elia Viviani quando si è richiamato alla necessità che anche i ciclisti rispettino gli automobilisti. E i pedoni, aggiungo io: nella mia normale esperienza di cittadino milanese osservo che un ciclista su due passa col rosso e molti sfrecciano sui marciapiede, spesso con fare arrogante, come se si trattasse di una pista ciclabile. Abitudine pericolosa e incivile. Ho visto in tv l’ultimo «All Star Game» della Nba e mi sono cascate le braccia: ma che senso ha una partita, chiamiamola generosamente così, come quella? Mi sembra che in passato tutto fosse diverso.
Giulio Brestagni
Sì, diciamo che anni fa c’era una parvenza di agonismo (anche se il minimo indispensabile, non esageriamo), oggi del tutto scomparsa. Terribile quel trotterellare su metà campo per arrestarsi tutti e tirare da tre in solitudine. Ma il giudizio non può fermarsi a questa farsa. È tutto l’evento che bisogna guardare nel contesto di un’evidente ma legittima autocelebrazione: la Nba fa festa a se stessa, condividendola col pubblico. La passerella dei grandi del passato, le gare delle schiacciate, dei tre punti, dello «skills», le partite delle celebrità e delle promesse. Lo show in generale, come solo gli americani sanno allestire. La voglia di sorridere e stare insieme. Si può, anzi si deve, tirare un po’ il fiato a metà di una stagione dai ritmi infernali. Capisco che per il pubblico sportivo italiano, mediamente orientato al «vincere a ogni costo», tutto questo suoni insapore, ma va apprezzato anche il desiderio di divertirsi con altri aspetti dello sport. Però a tutto c’è un limite e quella partita finta in qualche modo va ripensata, magari inventandosi un regolamento ad hoc.