Svindal oltre la leggenda
●A 35 anni, dopo una lunga serie di infortuni, regala alla Norvegia il primo oro olimpico in discesa: «Non smetto, mi manca Kitzbuehel». Paris 4° a 36/100 dal bronzo, sesto Fill
Pur senza volerlo il principe Haakon ha scelto il giorno giusto. Aveva pensato di volare in Corea del Sud per godersi il superG, una disciplina nella quale i suoi connazionali hanno conquistato l’oro in cinque delle nove gare olimpiche disputate da Calgary 1988, ma il vento che ha girato il programma olimpico gli ha messo davanti agli occhi qualcosa di ancora più bello, la storia. Aksel Lund Svindal è campione olimpico di discesa, il primo norvegese a essere incoronato nella gara più attesa, il più anziano oro dello sci alpino ai Giochi. È la gemma che completa una carriera lunga e straordinaria, iniziata nel 2002, impreziosita da cinque titoli mondiali, due coppe del Mondo, 35 successi nel circuito e la tripletta di medaglie a Vancouver 2010. E dietro a re Aksel c’è Kjetil Jansrud, lo scudiero di sempre, l’amico e avversario con cui condivide un piccolo, straordinario team. Nel giorno giusto sono tornati a essere gli «Attacking Vikings» che conosciamo, i due fenomeni capaci di portare a casa 8 delle 12 coppe delle specialità veloci in palio nelle ultime sei stagioni.
FEBBRAIO FELICE C’era da essere perfetti ieri a Jeongseon. Il sole, le temperature miti e il poco vento avevano reso la pista più veloce e i salti meno pericolosi. Proprio per questo contava ogni dettaglio, perché il margine per recuperare un errore era minimo. «Sono stato super in alto e ho sciato molto bene in basso — sintetizzava il nuovo campione olimpico —. All’arrivo pensavo al podio ma non alla vittoria. Non riesco a credere di essere riuscito a far meglio di Aamodt e di Kjus (argento rispettivamente nel 1994 e nel 1998 e 2002)». Verrebbe quasi da pensare che possa essere il lieto fine. «Sono vecchio, questo potrebbe essere l’inizio della fine. Sì, questa dovrebbe essere la mia ultima Olimpiade, se non al 100% ci siamo vicini. Però non ho vinto ancora Kitzbuehel. Non c’è mai una parola fine quando si ha ancora voglia di vincere». Questa è la prima volta negli ultimi quattro anni che scio in febbraio. Le altre volte ero in ospedale». Come due anni fa, quando si venne a Jeongseon per la preolimpica. Mentre Jansrud vinceva e Paris chiudeva secondo, Svindal stava recuperando dall’infortunio al ginocchio destro patito cadendo all’Hausbergkante durante la discesa di Kitzbuehel. Quell’infortunio gli sarebbe costato una stagione e mezza di stop. «Svindal non era mai stato qui — spiega Claus Ryste, direttore dello sci norvegese —. Nel primo allenamento era un po’ indietro, ma lui è davvero forte sul piano mentale. E’ stato capace di mettere tutto insieme e lo ha dimostrato anche qui. La sua forza è la capacità di mantenere alta la velocità nei curvoni. È questo che lo rende il numero uno». Questione di tecnica, quindi. Ma anche questione di testa. «Aksel è sempre il tipo che non si lamenta mai di niente. Anche quando è infortunato, lui si chiede sempre: “che cosa posso fare?”. E poi dà una mano, è il primo a uscire la mattina per la sessione di allenamento e aiuta i più giovani a crescere, con un atteggiamento che dovrebbe essere da sport di squadra in quello che invece è uno sport individuale. Per i giovani Aksel è davvero un modello: lui aiuta davvero molto nel processo di costruzione di un team».
SBAVATURE AZZURRE C’era da essere perfetti e gli azzurri non lo sono stati. Dominik Paris, quarto a 36/100 dalla medaglia di bronzo di Beat Feuz, si era lanciato fuori dal cancelletto con la foga dei grandi giorni. Veloce nella parte alta, ha pagato una sbavatura dopo un minuto di gara, una curva condotta con una linea non ottimale su un tratto di pista pianeggiante. Dettagli, che però gli hanno fatto perdere velocità e decimi decisivi. «Mi sentivo lento, ho lasciato un po’ di velocità, peccato. Il resto era buono. Qui si va al limite, bisogna provare di tutto perché la pista non è difficile. E se la pista è facile, è difficile andare veloci. Dalla partenza al traguardo deve essere tutto preciso». Peter Fill, sesto, ha avuto rimpianti simili. «Ho sbagliato l’uscita della Dragon Valley, ho lasciato tantissimo tempo
perché mi ha sbattuto lo sci, ho preso una buca, sono andato largo e sono passato a due metri e mezzo dal palo. Peccato, mi sentivo bene. Dopo Garmisch mi faceva male la gamba sinistra, ho dovuto lavorarci tanto, con un po’ di antidolorifici mi sono levato quasi completamente quel dolore che mi aveva dato insicurezza nei giorni scorsi. È stata una gara regolare e ai primi quattro posti ci sono i migliori di quest’anno». «Ho visto che le condizioni stavano cambiando e non c’erano più possibilità di fare un bel risultato — ha invece sottolineato Christof Innerhofer, 18° —. Quando ho visto il tempo finale non ci credevo, nei giorni scorsi un po’ di tempi veloci li avevo fatti».
LA GARA
Gli attacking vikings d’argento con Jansrud davanti al principe Haakon Sul podio c’è l’altro favorito Feuz