Rocky Belinelli all’esordio fa 17 «Phila un sogno»
●Entra sulle note del film di Stallone e si scatena nel 4° periodo. Coach Brown: «Entusiasta di lui»
Come un navigato trasformista di palcoscenico, Marco Belinelli ha fatto in fretta ad abituarsi alla nuova maglia, alla nuova città e al nuovo ambiente. Fino a dieci giorni fa arrancava (comunque con ottime statistiche stagionali) ad Atlanta, squadra fanalino di coda della Nba, mercoledì sera al debutto in un team lanciato verso i playoff e infarcito di giovani talenti è stato uno dei protagonisti: 17 punti in 27 minuti e 38 secondi (con 4/7 da due e 3/5 da tre), ma 11 segnati nell’ultimo periodo in cui è stato sul parquet per 10’47”. Il segnale di una fiducia smisurata di coach Brett Brown, che lo incensava così: «Che esordio incredibile! Ma questo è il motivo per cui lo abbiamo fatto arrivare. Esattamente la bocca da fuoco che cercavamo: ora l’abbiamo trovata».
ROCKY Cifre eccellenti legate a una vittoria storica (la quinta consecutiva di Philadelphia) contro i diretti rivali per la corsa ai playoff, Miami Heat (104102), perché i Sixers (settimo posto all’Est con record di 30-25) erano sotto di 24 punti a inizio del terzo quarto e sigillavano la più grande rimonta dal 2008. Sì, grazie anche all’apporto del Beli. Il nuovo Rocky? Già. Persino inevitabile farsi travolgere da quella retorica quando si gioca a Philadelphia. L’azzurro, però, ci ha messo del suo, quando alla vigilia del match ha twittato una foto in cui c’era la sua faccia al posto di quella di Stallone nella celebre corsa per le strade della Little Italy locale. E i 76ers gli sono andati subito a ruota, perché nel momento in cui Marco ha messo piede in campo con 4’21” dal termine della prima frazione, è partita la celebre colonna sonora del film.
CHE ESORDIO Ma mica è facile mettersi a fare Rocky dopo appena un giorno di allenamento, con compagni nuovi e strategie differenti. Mica semplice dare al recente passato un colpo di spugna, spegnere l’interruttore degli Hawks e accendere quello dei Sixers. A Beli ha tremato un po’ la mano solo al principio, umana emozione che gli ha fatto sbagliare le prime tre conclusioni. Poi con quella nuova canotta rosso fuoco con il numero 18 (perché la 3 qui è quella intoccabile di Allen Iverson) è subito entrato nella nuova parte senza altre esitazioni. Ha fatto il primo centro nel 2° quarto con un appoggio, bissato poco dopo con una azione simile. Intanto a metà tem- po, Phila era finita in un baratro: -23, poi -24 dopo un paio di minuti del 3° periodo. Ma il capolavoro di Marco arrivava nell’ultima frazione, quella in cui forse non era previsto dovesse rimanere sul parquet così a lungo. Tre triple a bersaglio, due nello arco di 31 secondi all’inizio del periodo che arroventavano il Wells Fargo Center e riportavano i Sixers a -4. E’ quando in tv i due telecronisti locali gridavano in italiano: «Andiamo ragazzo!». E lui a fine partita ammetteva: «Prima della gara ero nervoso, ma desideravo tantissimo essere in questa squadra, con questi ragazzi che hanno una dannata voglia di far bene». Già perché il Beli in questi ultimi tre campionati era finito sempre più in basso (Sacramento, Charlotte e Atlanta), senza mai un viaggio ai playoff. Diceva: «E’ dura andare in campo quando sai che spesso perderai. Venire qui è quanto di meglio poteva capitarmi. Voglio vincere e davvero credo in questo progetto».
PACCA SULLE SPALLE Passava Ben Simmons, il talentuoso rookie alla sua sesta tripla doppia (primo giocatore a riuscirci entro le 60 partite da Oscar Robertson 1960/61), e gli assestava una robusta pacca sulle spalle. Brown insisteva: «Merito del nostro general manager, Brian Colangelo: lo abbiamo preso senza privarci di alcun assett. Sono davvero entusiasta». Qui gli vogliono già tutti bene, proprio come se Philadelphia fosse sempre stata la sua città.
DURA ANDARE IN CAMPO QUANDO SAI CHE SPESSO PERDERAI
ALL’INIZIO ERO NERVOSO: VOLEVO TANTO ESSERE IN QUESTO CLUB
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