Con la Spal il primo titolo nella storia degli azzurri grazie a Lauro e Pesaola
Il paradosso è che l’impresa fu talmente sorprendente e inattesa da passare quasi inosservata. I «pallonari» italiani, in quel giugno del 1962, stavano ancora smaltendo la delusione e la rabbia per l’eliminazione della Nazionale dal Mondiale in Cile e si aggrappavano alle trattative di calciomercato per recuperare l’ottimismo. Della finale di Coppa Italia, in programma all’Olimpico di Roma giovedì 21 giugno, pochi s’interessavano. Il Corriere della Sera liquidò l’avvenimento, alla vigilia, in una striminzita colonnina a metà pagina. Probabilmente la ragione di un tale distacco stava nel nome delle due finaliste: il Napoli e la Spal. Gli azzurri venivano dalla serie B e, tra mille sofferenze, avevano appena guadagnato la promozione, mentre gli emiliani si erano salvati dalla retrocessione ma erano pur sempre un’espressione di provincia. PERCORSO La Spal per guadagnarsi il diritto alla gloria aveva fatto fuori in semifinale la Juve di Charles: un 4-1 che aveva infiammato Ferrara e spedito i bianconeri all’inferno. Gol di Micheli, doppietta di Dell’Omodarme e sigillo su rigore di Cervato. Un’autorete di Muccini fu una magrissima consolazione per la Signora, che poi perse pure la finale per il terzo posto contro il Mantova. Il presidente Paolo Mazza, che tutto faceva e tutto dirigeva, sognava la grande impresa. Ma bisognava fare i conti con l’entusiasmo di una città intera, Napoli appunto, che sentiva di aver compiuto il suo percorso di redenzione, dopo tante amarezze, e finalmente vedeva le luci del paradiso. In trentasei anni di vita, dalla nascita nel 1926, gli azzurri non avevano ancora vinto nulla, e pareva proprio una maledizione. Il Comandante Achille Lauro, che utilizzava la popolarità acquisita con il calcio per la sua carriera politica e per i suoi affari, non aveva lesinato denari: dieci anni prima, nel 1952, acquistando Hasse Jeppsson per 105 milioni di lire, aveva fatto il botto. I risultati, tuttavia, non vennero. Nel 1961, per evitare la retrocessione in Serie B che gli sarebbe costata un notevole calo nel consenso popolare, il Comandante mise sotto contratto persino uno psicanalista: aveva il compito di entrare nella testa dei giocatori e di farli rendere al massimo. Tentativo fallimentare, il Napoli retrocesse e anche nel successivo campionato di Serie B balbettò parecchio prima di imboccare la strada giusta.
AMICI Il giorno della svolta, a Napoli, fu il 29 gennaio 1962 quando il Comandante licenziò l’allenatore Fioravante Baldi e assunse Bruno Pesaola, detto il Petisso, che in quel periodo guidava la Scafatese in Terza Serie. Pesaola, con la sua saggezza e la sua furbizia tattica, risollevò la squadra e la condusse alla promozione . Nel frattempo fece strada in Coppa Italia, eliminò il Torino agli ottavi (doppietta di Gilardoni), la Roma ai quarti (gol di Corelli) e liquidò in semifinale il Mantova con un sofferto 2-1 (reti di Tomeazzi e Fanello). Le basi per l’impresa erano state gettate e i ragazzi di Pesaola non tradirono le aspettative. Presero in mano la partita e misero la Spal alle corde. Dopo 12 minuti segnò Gianni Corelli, un ferrarese cresciuto nella Spal che quell’anno era passato al Napoli: vatti a fidare degli amici! Ma Micheli, 4 minuti più tardi, timbrò l’1-1 e da quel momento la sfida divenne una partita a scacchi. Il Napoli sbagliò un rigore con Corelli, ma alla lunga vinse: gol di Ronzon al 34’ del secondo tempo e festa sul prato dell’Olimpico. Dalla tribuna scese anche il Comandante Lauro che si lasciò abbracciare dai suoi giocatori, dall’allenatore, dai dirigenti. Era il primo trofeo da mettere in bacheca e, soprattutto, il Napoli era (ed è ancora), assieme al Vado Ligure, l’unica squadra ad aver vinto la Coppa Italia pur non essendo in Serie A. E per quest’impresa clamorosa il Corriere della Sera fu magnanimo: titolo su quattro colonne, ma «di spalla». Sempre meglio di niente.