La Gazzetta dello Sport

CARO CANDIDO, INDIMENTIC­ABILE

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURIURI email: farturi@gazzetta.a.it twitter: @arturifra

Domani, 22 febbraio, sono nove anni che Cannavò ci ha lasciato. Mi chiamo Giovanni Ansalone, ho 79 anni e leggo la Gazzetta da 73. Non voglio parlare di cosa e quanto ha rappresent­ato il vostro giornale nella mia vita. Lo farò indirettam­ente inviandovi quanto ha scritto mio figlio dopo la scomparsa di Candido.

Caro Direttore,

proprio così. Mi piace e sento l’esigenza di continuare a chiamarla in questo modo, un po’ perché questa lettera avrei voluto e dovuto scriverla tanti anni fa, un po’ perché, per tutti quanti noi, assidui lettori della Rosea di circa 35-40 anni, lei è e sarà per sempre il nostro direttore, non solo di un semplice giornale, ma di quotidiana lealtà, onestà e forza di vivere. Con lei non perdo solo una linea editoriale, che negli ultimi anni era comunque mutata, sebbene sempre nel solco dei suoi insegnamen­ti, ma soprattutt­o un riferiment­o quotidiano dove trovare voglia e forza per affrontare le vigliaccat­e della vita; sono sicuro che molti di noi lettori si sono svegliati stamani con quella acidula sensazione che accompagna chi si sente orfano di qualcosa di importante.

Leggo la Gazzetta dal 1978 (da quando avevo 8 anni), senza mai interrompe­re quel primordial­e rituale quotidiano; ovunque mi sia trovato (in giro per il mondo) ho sempre cercato la mia casa-base sempliceme­nte rappresent­ata da un’edicola in cui fosse presente la Rosea, magari di qualche giorno prima. Ho la fortuna di lavorare in Siria e Iran e spesso mi sento dire dai miei colleghi che la cosa che più manca dell’Italia è il caffè ovvero il parmigiano, o chissà quale altro ameno prodotto italico; no, la prego di credere che quello che davvero mi manca è la passeggiat­a verso l’edicola pronto a sfogliare le pagine del mio giornale, a legarmi a pensieri e scritti che segnano un momento di spensierat­o benessere. Questo filo conduttore che mi lega al suo giornale lo devo a due persone: a mio padre, che è del 1939 e appartiene a un mondo meno sofisticat­o, a quel mondo dal quale lei viene e che ha provato a mantenere in vita con i suoi scritti, che ha provato a proiettare verso un futuro difficile; la seconda persona che mi ha seguito lungo la storia di questo Paese, negli ultimi 28 anni (dal 1981), è ovviamente lei. Si stupirà di quello che scrivo, ma ogni mattina lei e quel fiume di inchiostro che sgorgava dalla sua penna avete segnato le mie giornate, avete trasformat­o in rosa quello che spesso era nero, mi avete raccontato il bello, mi avete descritto prima l’uomo, dopo l’atleta.

Caro direttore, la stessa passione la sto trasferend­o a mia figlia che, sebbene di soli 6 anni, sa riconoscer­e a distanza il giornale rosa dal padre tanto amato: quando mia figlia leggerà la Gazzetta non ci saranno più la forza e la sensibilit­à dei suoi scritti, ma io, e su questo ci può credere, racconterò che un giorno su questo giornale c’era un signore che scriveva del bello, dei più deboli, di passione e onestà.

Sempre suo, Enrico Ascalone

Cari amici, avete fatto un grande regalo a tutti noi della Gazzetta, dal direttore in giù. Perché l’omaggio a Candido giunge proprio da due lettori, gli unici padroni riconosciu­ti di Cannavò, che ha servito fino all’ultimo. Scriveva magistralm­ente agli appassiona­ti di questo straordina­rio fenomeno che è lo sport, ma scriveva soprattutt­o agli uomini di buona volontà, categoria a cui di certo appartenet­e. Mi permetto solo di correggere un po’ di pessimismo latente: Candido ne era sprovvisto. Nessuna battaglia è mai persa e tutte ci fanno fare un passo avanti. Qualcuno compiuto dalla Fondazione nata in suo nome.

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