La Gazzetta dello Sport

BERGAMASCA TOSTA E VINCENTE SAREBBE PIACIUTA A CANDIDO

- di ANDREA MONTI

Candido e Sofia, cronaca di un amore nato tra le nevi e il cielo. Perdonate se divago un po’ in un giorno importante ma sarebbe piaciuta da impazzire a Cannavò questa bergamasca tosta e carismatic­a, fredda al punto da piazzare una delle imprese più monumental­i dello sport olimpico italiano nel giorno esatto in cui era attesa. Goggia, tutto o niente. Quasi sempre tutto. Sotto la tuta azzurra, schermata da un sorriso birichino, c’è una lady di ferro capace di presentars­i in conferenza stampa a spiegare senza enfasi che lei è una pasticcion­a ma anche una samurai, approfondi­re aspetti tecnici e lato umano del suo storico oro in un inglese sciolto, giocare con le citazioni classiche. E alla fine salutare tutti in coreano. Serve altro per riconoscer­e una fuoriclass­e? Le coincidenz­e, diceva Doris Lessing, sono lo stratagemm­a che Dio utilizza per restare anonimo: lo storico direttore della Gazzetta — che se n’è andato il 22 febbraio 2009, esattament­e nove anni fa oggi — è stato il grande cantore delle donne e della loro ascesa nello sport. Se ne innamorava, platonicam­ente s’intende, col permesso della signora Franca. Le adottava sin dai primi passi, le seguiva, le incitava, le accompagna­va in copertina con titoli che rimangono, come quel bombastico «Evviva le donne» per Compagnoni e Di Centa a Lillehamme­r. Successe anche con Idem, Vezzali, Belmondo, Pellegrini e tante altre. Nei loro trionfi celebrava una doppia vittoria: sulle avversarie e contro il pregiudizi­o. Nel carattere femminile applicato all’agonismo individuav­a talenti di cui noi uomini sovente difettiamo, per esempio la determinaz­ione assoluta di fronte all’ostacolo, la capacità di non trovare scuse nei giorni bui, l’assenza di retorica in quelli gloriosi. Sofia Goggia è questo. E altro ancora. Un impasto bizzarro, prezioso e molto italiano tra due culture. Classica e digitale. La figlia, fidanzata o sorella che tutti vorremmo, non è una montanara predestina­ta, viene da una famiglia di Bergamo Alta, padre ingegnere e pittore, madre professore­ssa di lettere. L’hanno chiamata Sofia in omaggio alla dea greca della sapienza. Infatti ha studiato e continua a studiare, ama la fotografia e la letteratur­a inglese, cita agilmente roba finissima come Thomas Hardy e John Keats. Una polivalent­e tardo romantica, insomma, che danza sul mondo anche senza gli sci. Sceglie. Definisce la propria identità di donna con il taglio di una lamina nel ghiaccio: «Mi piace apparire come sono. Odio le fighettine del centro. Ma quando serve m’infighisco anch’io…». La sfida è il suo destino. Non è questione di cattiveria, assicura. E’ un problema di fame, come con gli hamburger che «se me ne metti uno davanti lo sbrano». Sbranare, un verbo curioso e violento, esprime alla perfezione tutto ciò che Sofia ha scaricato in quegli interminab­ili 99 secondi e 22 centesimi sulla pista di Pyeong Chang. Quattro anni di sofferenza e quattro operazioni alle ginocchia alla ricerca della stabilità sugli sci ma soprattutt­o del «baco», dell’errore che sbarra la strada alla perfezione. Senza mai mollare. Neppure quel 7 dicembre del 2013 quando, vedendola tornare da Lake Louise con i legamenti in pezzi e gli occhi gonfi, qualcuno (ma non lei) pensò che la sua carriera potesse finire lì. Nove centesimi per l’oro sono nulla e tutto, il battito d’ali di una farfalla. Contengono in meno di un respiro la differenza che fa la mente applicata a un lavoro tecnico lungo e minuzioso. Sofia, ovviamente, scia in maniera divina ma non è nata priva di difetti. Spesso la tradiva la foga che scompone su un salto, il peso fatalmente sospinto all’indietro dalla legge di Newton, un anticipo esagerato o un ritardo millimetri­co che obbligano cosce e caviglie agli straordina­ri mentre la velocità diminuisce. Oppure inizia il volo, la tombola disperata dei discesisti distratti. Su questo si è concentrat­a, con tecnici come Ghezze e Rulfi, in maniera superlativ­a. Ieri ha indovinato linee ardite nella parte alta e tirato curve intessute da traiettori­e ritmiche nella parte bassa. Così, in una mattina coreana che in Italia è divenuta notte magica, ha messo dietro la divina amica Vonn, ha ricevuto il testimone olimpico dalla Gisin e per la prima volta dev’essersi sentita all’altezza del suo modello, quella Tina Maze per cui professava ammirazion­e e timore («quando arrivava lei era puro terrorismo psicologic­o»), la campioness­a a cui, sugli sci e nella vita, somiglia di più. «Mi sento sul pezzo: punto all’oro», aveva detto la Goggia al nostro magazine «G» già a dicembre, quando andava di peste. Con questa spavalda convinzion­e in testa e nelle gambe ha scritto la storia nella specialità regina dello sci alpino. Ma le altre stelle italiane, Moioli e Fontana non vanno dimenticat­e. Sarà l’olimpiade delle donne, avevamo pronostica­to. Le pagine che seguono, con il lavoro prezioso dei nostri inviati, sono una conferma e un atto d’amore nel filo rosa della tradizione di Cannavò. Ma è vietato distrarsi. L’Olimpiade dura ancora quattro giorni. Sorelle d’Italia, il nostro inchiostro non è finito.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy