LENTA E SENZA QUALITÀ RESTA UNA SQUADRA MALATA
Oro nel curling ai Giochi
L’Olimpiade Invernale dell’Italia, virtualmente finita con una giornata di anticipo, ci ha riservato un sabato deludente in cui delle 4 medaglie possibili (sci alpino, snowboard, pista lunga e fondo) non ci è rimasto in mano niente. A salvare il nostro bilancio più che le 10 medaglie complessive che hanno premiato le previsioni in doppia cifra di Malagò, in ribasso rispetto a noi, è la qualità dei tre ori femminili: due per la dimensione dei personaggi (Arianna Fontana e Michela Moioli), uno per il prestigio della discesa vinta da Sofia Goggia. Ma in attesa che si risolva allo sprint la sfida fra Germania e Norvegia per la vetta del medagliere, c’è da eleggere la storia più bella dei Giochi a vantaggio di chi non si appassiona solo per le imprese tecniche e i campioni multipli. Qui andiamo un po’ controcorrente e ammettiamo di esserci innamorati di una favola che riguarda l’ultimo degli sport olimpici, almeno agli occhi dei puristi: il curling.
Partiamo da lontano perché fra tutti i film dedicati al nostro amato sport abbiamo sempre ritenuto che, al di là della popolarità di pietre miliari del cinema come Rocky o Momenti di Gloria, nessuno ha rappresentato la metafora della sfida, del riscatto e della gloria meglio di Miracle, il film del 2004 della Walt Disney diretto da Gavin O’Connor e interpretato, fra gli altri, da Kurt Russell. Miracle on Ice, ne esiste anche una versione televisiva, di nome e di fatto quello della raccogliticcia squadra americana di hockey ghiaccio, nata un po’ per scommessa un po’ per la tenacia dell’allenatore Herb Brooks, che vinse a sorpresa l’oro olimpico a Lake Placid ‘80 battendo la favoritissima Unione Sovietica, sullo sfondo di una guerra fredda ormai in declino. Ebbene ieri mattina (ben raccontata dalle telecronache di Eurosport) abbiamo rivisto un po’ di quella epopea nell’incredibile oro conquistato nel curling dai reietti Usa (traducendo dall’inglese sarebbe meglio dire «rifiutati») a spese dei blasonati svedesi (che difendevano il bronzo di Sochi 2014). La favola è innanzitutto quella di John Shuster che a 23 anni aveva guidato gli Usa a conquistare una incredibile medaglia di bronzo a Torino 2006 e, dopo aver perso 16 chili di peso, si è ripetuto a 12 anni di distanza (con Tyler George, Matt Hamilton, John Landsteine e riserva Joseph Polo, altro reduce da Torino) quando perfino la federazione lo aveva escluso dai contributi riservati allo sport d’alto livello. I cinque eroi di PyeongCchang hanno dovuto finanziarsi da soli per prepararsi ai Trials Usa dove hanno battuto a sorpresa la squadra federale. Tutti i componenti della squadra — fra cui un vinaio e un ingegnere — svolgono in patria un altro lavoro ed erano già appagati della conquista della finale a spese del Canada (5-3) che aveva vinto le ultime tre Olimpiadi di fila. Invece sul 5-5 proprio Shuster ha messo in cassaforte i 5 punti che hanno deciso la vittoria per 10-7. Oro imprevedibile a un certo punto del torneo visto che gli americani erano stati battuti anche dagli azzurri.
Non si sa se al ritorno in patria i quattro olimpionici torneranno davvero alla vita di tutti i giorni fra lavoro e famiglia ma sicuramente dedicheranno qualche ora a riguardare l’episodio dei Simpson che ha contribuito a sdoganare in America lo sconosciuto sport delle pentole e delle scopette. L’autore della serie, Matt Groening, in realtà voleva fare la parodia di questa disciplina minore del ghiaccio, snobbata dagli amanti dell’hockey ma il destino ha giocato un brutto scherzo ai tradizionalisti, delusi dal secondo fallimento olimpico della squadra privata dei campioni dell’NHL e sconfitti martedì agli shootout dalla Repubblica Ceca. Incredibile a dirsi è stato lo sport di Homer Simpson a salvare l’onore Usa di fronte a Ivanka Trump impazzita di felicità sulle tribune del Gangneung Center.