LIEDHOLM VS NORDAHL IL FOLLE 3-3 DI 60 ANNI FA
Ci sono momenti in cui anche la logica deve arrendersi di fronte alle stranezze della realtà. E meno male, vien da dire, sennò questo eccesso di ragione finirebbe per annoiare. Il calcio, poi, che è un «mistero senza fine bello» come scriveva Gianni Brera, di questi dribbling all’ordine delle cose è pieno zeppo: il pallone che rimbalza su un ciuffo d’erba e prende una direzione anziché un’altra; il tiro che viene leggermente deviato e si trasforma in una parabola imprendibile; il gol che nasce da un tocco di schiena senza che l’autore se ne sia accorto. Il destino, quando pensi che tutto stia andando nel verso giusto, è pronto a rivelarsi con una capriola, un inganno, una rovesciata. E quello che era cambia all’improvviso. Come il pomeriggio di domenica 27 aprile 1958, stadio del Foro Italico, Roma. In programma c’era Roma-Milan, inizio alle ore 15.30. Sole primaverile, terreno in perfette condizioni, pubblico appassionato che riempiva gli spalti e le tribune. I giallorossi non erano in lotta per lo scudetto, quello ce l’aveva già in tasca la Juventus del Trio Magico, Boniperti-Charles-Sivori, però erano al quinto posto in classifica e ci tenevano a ben figurare di fronte ai propri tifosi. Il Milan, invece, con lo scudetto sul petto, stava vivendo una stagione da Dottor Jekyll e Mister Hyde. Fantastico in Coppa dei Campioni, dove aveva eliminato il Rapid Vienna, i Rangers di Glasgow e il Dortmund, e adesso attendeva il Manchester United per la doppia sfida di semifinale. Orrendo il cammino in Italia, tanto che aveva pochi punti di margine sulla zona retrocessione.
INCROCIO
La sfida di Roma era interessante per un altro aspetto: sulla panchina giallorossa sedeva Gunnar Nordahl, il pompierone svedese che proprio con la maglia del Milan aveva conquistato 2 scudetti e vinto per 5 volte la classifica dei cannonieri. Ora, a 37 anni, non ce la faceva più a battagliare con i difensori avversari e quando gli avevano proposto il doppio ruolo, allenatore-giocatore, aveva accettato di buon grado. D’altronde il tecnico di prima, l’inglese Alec Stock, era un disastro: non conosceva l’italiano, faticava a comunicare con i giocatori e con i dirigenti, impensabile proseguire con lui. Dalla dodicesima giornata, dunque, ecco Nordahl in panchina. E adesso, proprio contro i suoi vecchi amici rossoneri, voleva dimostrare di essere bravo anche «da seduto». Non per una questione di rivincita, ci mancherebbe altro: al Milan il Pompierone era stato benissimo e conservava magnifici ricordi. Semplicemente, quella domenica, desiderava dimostrare che non aveva sbagliato quando aveva scelto il nuovo mestiere. E poi c’era la sfida contro Gipo Viani, tecnico del Milan: tra lui e Nordahl i rapporti non erano sempre stati idilliaci. Un motivo in più per cercare l’impresa. In mattinata, inoltre, c’era stata l’investitura ufficiale per la stagione successiva. Al Palazzetto dello Sport si era tenuta l’assemblea generale dei 465 soci giallorossi che avevano eletto per acclamazione il nuovo presidente Anacleto Gianni e avevano confermato la fiducia a Nordahl e allo staff tecnico.
FURORE Spinti dal pubblico i ragazzi di Nordahl diedero vita a un primo tempo da urlo. Il Milan, come scrisse Bruno Roghi, pareva «una trancia di gruviera: tutta buchi». E per i giallorossi si prospettava una magnifica «passeggiata domenicale». I gol di Lojacono, di Guarnacci e ancora di Lojacono, che sfruttò un errore di Cesarone Maldini, fissarono il punteggio sul 3-0.
Partita senza storia, tanto che il pubblico, durante l’intervallo, pensava alla ripresa come a una semplice formalità: si trattava soltanto di far passare il tempo in attesa della festa finale. Ma la logica inciampò e, dopo che la Roma fallì almeno altre due occasioni da gol, intervenne l’imponderabile. Improvvisamente si spense la luce e quelli che nel primo tempo erano parsi autentici campioni adesso sembravano giocatori mediocri: i giallorossi, inspiegabilmente, si consegnarono nelle mani del nemico. E il Milan, minuto dopo minuto, risalì la corrente: gol di Fontana, di Liedholm e di Mariani per il definitivo pareggio a 7’ dal termine. Pazzesco. Una rimonta che gelò il pubblico e incendiò Nordahl: alla rete di Liedholm anche un uomo pacato e tranquillo come lui sbottò. Si alzò dalla panchina e scappò negli spogliatoi: non volle più vedere, il risultato glielo comunicarono i dirigenti alla fine. Non poteva sopportare un simile comportamento da parte dei suoi giocatori, il volto rosseggiava di rabbia: com’era possibile pareggiare una gara che, nel primo tempo, era stata dominata? La vergogna, oltre al furore, gli fece dimenticare persino di andare a salutare i suoi vecchi amici Schiaffino e Liedholm. Una cosa simile, in tutta la sua carriera, non gli era mai capitata. E gli balenarono nelle mente anche cattivi pensieri: che il risultato fosse stato pilotato? Ma no, era impossibile. Semplicemente nel calcio, e Nordahl se ne rese conto, non c’era mai nulla di definitivo fino a che l’arbitro non dichiarava chiusa la battaglia. Se di mezzo c’erano i rimbalzi di un pallone, la logica non poteva essere padrona.