La Gazzetta dello Sport

GATTUSO, TI AMO (E TI VOTEREI...)

Lettere alla Gazzetta

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Sono una classe 1985, da piccola avevo una maglia con su lo stemma di un cane rabbioso e la scritta «Ringhio». La usavo per correre in giardino, per dormire, per andare a scuola: guai a chi me la toccava. Crescendo, ho cominciato a giocare a pallavolo; quando mi chiesero che numero di maglia volessi vestire, non ebbi dubbi: la numero 8. Per anni poi sono andata a tifare allo stadio e Dio solo sa quante volte quella curva ha urlato più forte quando Gennaro Gattuso entrava in campo prima del fischio di inizio e veniva sotto il secondo anello blu per farci gasare all’inverosimi­le. Quel 13 maggio a San Siro, quando lui e altri fenomenali amori di una vita davano l’addio alla nostra società, c’ero anch’io. Lacrime su lacrime. Uomini, donne: tutti piangevano. Chi nascondend­osi sotto una maglia, chi fingendo di starnutire. Curiosi i sentimenti che possono scaturire dal tifo. Lo stadio era percorso da una commozione tale che difficilme­nte riuscirò a dimenticar­e. Quella stranissim­a atmosfera ovattata rappresent­ava la fine di un epoca per tutti noi. È come la fine di un amore, sai che farà male, che ci soffrirai, ma non sai quanto tempo ti ci vorrà perché ti possa ancora battere il cuore come allora. L’8 è e sarà sempre il mio numero preferito. Rino e la sua grinta, una filosofia di vita. Quell’amore, quel ringhio dentro, lo sto provando finalmente ora dopo tanti anni, come credo anche molti di voi. Non ci sono parole per descrivere quanto sia felice di vederlo ancora mordere quella panchina, a infondere valori che nel calcio di oggi ormai si sono persi. Non ce ne sono come lui, non ce ne saranno. Se sarà al fianco dei nostri ragazzi anche nei prossimi anni non lo so, ciò che è sicuro è che gli auguro di avere un futuro splendido da allenatore, da qui in poi. Quello che sta facendo non è da poco, si sta mostrando umile nel suo progetto e di un umorismo pazzesco anche davanti alle telecamere, Ringhio #onemanshow. Volesse candidarsi alle politiche il 4 marzo io lo voto, magari riesce a risollevar­e anche questo nostro becero Paese.

Ilaria Darone Bella la sua lettera, salvo il finale che le contesto amabilment­e. Il nostro Paese non ha niente di becero: ha problemi come tutti gli altri, chi più o chi meno. Avrei in mente affollate liste di beceri americani, tedeschi, inglesi, francesi, ungheresi, russi e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo problemi, certo: fra i maggiori, ci sono bassa autostima nazionale e approccio distruttiv­o. La colpa dei guai è sempre di qualcun altro: partiti, politici, giornalist­i, furbastri, eccetera eccetera. Non è una buona via per migliorare. Il suo inno a Gattuso invece mi piace in toto: Gennaro gradirà. Non gli appicciche­rei etichette, tuttavia. Come allenatore non è, e lo ha già dimostrato, un «bruto» tutto urla e grinta. Ora il suo Milan gioca. Le analisi di questi giorni spiegano il perché. In primo luogo i rossoneri corrono: con Montella camminavan­o, rendendo inutile la difesa a cinque. M’ero permesso di valutare, nel momento della crisi più acuta, che, non possedendo questo organico una qualità media da primi posti, si sarebbe dovuto optare per un modello Simeone-Atletico: difesa accanita nella propria metà campo. Cioè, tutti difensori in fase di non possesso, unica punta compresa, e pressione rapida sulla palla. Il vero miracolo di san Gennaro è stato quello di aver «gattusizza­to», attraverso un umile 4-5-1, anche i giocatori apparentem­ente più dotati di tecnica e talento, a partire da Calhanoglu. Riportare Suso al suo ruolo naturale, quello di ala, è stato un altro passo decisivo. Il gioco è vario: ora fraseggi sulle catene esterne, ora verticaliz­zazioni partendo dai piedi di Bonucci. L’esplosione di Calabria e Cutrone, ragazzi del vivaio, è uno sberleffo a un mercato estivo fuori controllo.

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