La Gazzetta dello Sport

I TOP PLAYER CHE VALGONO PIU’ DEL CLUB

Se i Top Player contano più dei club

- Di ALESSANDRO DE CALÒ

C i sono campioni, nel calcio, che contano più del club dove giocano e dell’allenatore chiamato a governarli sul campo. Non sono molti, forse bastano le dita di una mano per contarli tutti.

Ci sono campioni, nel calcio, che contano più del club dove giocano e dell’allenatore chiamato a governarli sul campo. Non sono molti, forse bastano le dita di una mano per contarli tutti. Di sicuro esistono. Il caso di Neymar è sotto gli occhi del mondo. Fino all’altroieri, il tecnico del Psg, Unai Emery, affermava pubblicame­nte che l’asso brasiliano avrebbe anche potuto giocare martedì prossimo contro il Real Madrid, nella sfida di ritorno degli ottavi di Champions. E’ un match fondamenta­le per la squadra parigina, chiamata alla grande impresa e alla rimonta, dopo il 3-1 incassato al Bernabeu. Neymar era stato il protagonis­ta assoluto della storica remuntada con cui il Barça, l’anno scorso, aveva eliminato il Psg dalla coppa nonostante il 4-0 patito all’andata. Credo che quella partita abbia convinto definitiva­mente il patron Al Khelaifi a investire su Ney, pagando la clausola monstre di 220 milioni per strapparlo al Barcellona. Visto che in Francia sta vincendo tutto, da tempo, l’asso brasiliano doveva servigli a cancellare i confini e conquistar­e la Champions. Sarà per un’altra volta, forse. A meno che il Psg non riesca a scavalcare comunque l’ostacolo Cristiano Ronaldo e a presentars­i in finale a Kiev. Chissà, magari il 26 maggio Neymar potrebbe essere okay per giocarsela.

Adesso si opera il piede fratturato. Nel braccio di ferro tra Emery e i francesi contro lui e il Brasile, hanno vinto i brasiliani. Il tecnico del Psg gli ha mollato un calcio dell’asino (“con lo stesso problema, Guedes ha giocato”), accusando implicitam­ente Neymar di scarso attaccamen­to alla causa. Contava di farlo giocare con un’infiltrazi­one, contro il Real, per mandarlo poi in sala operatoria. Niente. Si può anche capire, Neymar ha già perso il bello del Mondiale 2014 per quella simpatica ginocchiat­a ricevuta nella schiena dal buon Zuniga: non ha voglia di mancare neanche un minuto in Russia. Anzi, il Mondiale di giugno diventa il suo obiettivo numero uno. Vincerlo vuol dire entrare nell’olimpo dei grandi di sempre, conquistar­e il Pallone d’oro. Fa impression­e vedere Ney tutto bardato di nero nella carozzina a rotelle che ieri lo ha accolto all’aeroporto di Rio. Ma il Brasile è con lui. Sua maestà Pelé si è scomodato per dirgli, con un tweet, che tutto il Paese aspetta di vederlo guarire in fretta, perché c’è una Coppa del Mondo da portare a casa.

Alla fine è questo il nocciolo della questione. Nell’anno del Mondiale, i fuoriclass­e che sanno di poterlo vincere, di solito puntano a quell’obiettivo e dosano le forze durante la stagione per arrivare al top al momento giusto. Ci sono mille esempi. Penso al Maradona del 1986, al Matthaeus del 1990, allo Zidane del 1998, al Ronaldo brasiliano del 2002. Leo Messi non ha mai alzato la Coppa con l’Argentina, per diverse ragioni ma anche perché è arrivato un po’ stremato sul traguardo, visto che non aveva mai voluto tirare il fiato col Barça. Ed è ancora così. Sappiamo che a Messi manca il trionfo mondiale per essere consacrato numero uno di sempre. Eppure, nonostante gli appelli che arrivano dall’Argentina, la Pulce non cambia. Continua a spremersi per la sua maglia, un po’ come succedeva a Raul Gonzalez Blanco, mostruoso col Real e regolarmen­te sconfitto da infortuni e fatica nella Spagna che si presentava favorita e andava inesorabil­mente a fondo, a cavallo del millennio. Non è il caso di Cristiano Ronaldo, reduce da un lungo letargo nella Liga. E’ tutto proiettato sulla Champions e sulla Russia: gli piovono gol, adesso. Non è neanche il caso nostro, dei nostri azzurri. Nessuno è più importante del club dove gioca, e al Mondiale faranno soltanto i guardoni. Da lontano, purtroppo.

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