La Gazzetta dello Sport

Ma dietro l’omicidio del reporter slovacco c’è la ‘ndrangheta che sfrutta fondi Ue?

●In cella sette calabresi per la morte di Kuciak e della fidanzata Dalla Germania all’Est, crescono in Europa gli affari delle cosche

- Di GIORGIO DELL’ARTI gda@vespina.com

La polizia slovacca, con una vasta operazione nelle città di Michalovce e Trebišov, ha arrestato ieri alle prime luci dell’alba sette italiani.

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E perché?

Per l’omicidio del giornalist­a investigat­ivo Jan Kuciak, freddato lo scorso 22 febbraio con un colpo di pistola al petto nella sua casa a Velka Maca, in Slovacchia, poco lontano dalla capitale Bratislava. Con lui, è stata uccisa anche la fidanzata Martina Kušnírova, lei con un proiettile in testa. I corpi sono stati trovati domenica.

2 Movente?

Il reporter 27enne scriveva per il giornale Aktuality – una testata di proprietà dell’editore tedesco Springer e del gruppo Suisse – e dal dicembre 2016 lavorava a un’inchiesta sulle attività della criminalit­à italiana in Slovacchia e sui presunti contatti di persone dell’entourage del premier Robert Fico con la ’ndrangheta. Nel suo ultimo articolo aveva scritto che le ’ndrine calabresi erano venute in Slovacchia a insegnare ai politici slovacchi come si truffa la Ue sfruttando i fondi struttural­i europei, cioè quelli che dovrebbero favorire la crescita economica delle economie più deboli. Il reportage incompiuto di Kuciak ha già avuto delle prime conseguenz­e politiche: nei giorni scorsi si sono dimessi il ministro della Cultura Marek Madaric e due stretti collaborat­ori del premier coinvolti nell’inchiesta a cui da ieri collaboran­o anche l’Fbi e Scotland Yard. Il primo ministro Fico ha gridato alla speculazio­ne politica e ora assicura che i giornalist­i non devono temere. Peccato che solo qualche mese fa li abbia chiamati «prostitute» e «iene idiote». Intanto a Bratislava in molti sono scesi in piazza, si sono svolte manifestaz­ioni commosse che hanno messo sotto accusa il governo.

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I killer sono calabresi?

Esatto. Sono i fratelli Bruno, Antonio e Sebastiano Vadalà, 45, 42 e 40 anni, il loro cugino Pietro Catroppa, 54 anni, Diego e Antonio Rodà, 62 e 58 anni e un secondo Pietro Catroppa, di 26 anni. Si tratta di famiglie con le mani in pasta nel fotovoltai­co, nel biogas, nell’agricoltur­a e nell’immobiliar­e. Antonio è un imprendito­re. «Gli italiani legati alla mafia hanno trovato una seconda casa in Slovacchia», scriveva Kuciak, «possiedono tutt’ora decine d’imprese, per decine di milioni d’euro. Gestiscono centinaia di migliaia di ettari di terreno, che attirano sovvenzion­i per milioni di euro». Poi: «Hanno cominciato a fare affari, a sfruttare i fondi europei (15 miliardi di euro solo per il periodo 2014-2020, ndr), ma soprattutt­o a costruire rapporti con importanti persone degli ambienti politici, fino ad arrivare al governo slovacco».

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Ma gli arrestati non avevano precedenti?

Certo. La Procura antimafia di Reggio Calabria aveva comunicato alla polizia internazio­nale e a quella slovacca la necessità di controllar­e le attività degli italiani fermati. Ad esempio, Antonio Vadalà, nato a Melito Porto Salvo (Rc), nel 2003 aveva subito, qui da noi, una condanna a un anno e sei mesi per aver favorito la latitanza di Domenico Ventura, boss della ’ndrangheta ricercato per omicidio. Trasferito­si in Slovacchia, nel 2009 ha presentato un progetto per la costruzion­e di due centrali destinate alla produzione di energia da biomasse. Investimen­to ipotizzato: 70 milioni di euro. È diventato così socio di Maria Troskova, ex finalista di Miss Universo 2007, poi funzionari­a del ministero dell’Economia e infine assistente del premier Robert Fico. Ma, prima di Antonio Vadalà, in Slovacchia era arrivata la famiglia Rodà. Erano gli Anni 90, e i Rodà erano pronti a sfruttare la stagione del post-comunismo. S’annunciava infatti un’economia sregolata, con ampie zone di illegalità. Tra l’altro Pietro Rodà era stato coinvolto già nel 2007 nell’operazione «Ramo spezzato», un’inchiesta che aveva portato alla luce il commercio illegale di bestiame tra Italia e Slovacchia. Questi calabresi non facevano nulla per passare inosservat­i, giravano in Ferrari e Lamborghin­i e vivevano in ville stile Gomorra.

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Quindi le nostre mafie si espandono verso Est?

Non da oggi e non solo nell’Europa dell’Est. In Germania ricorderà la strage all’interno di una pizzeria di Duisburg, a Ferragosto del 2007. La criminalit­à organizzat­a va dove c’è da gestire potere e denaro. Ed ha una grande capacità di radicarsi nel territorio. Nicola Gratteri, procurator­e della Repubblica di Catanzaro, ha spiegato che «l’obiettivo delle famiglie della ’ndrangheta all’estero non è quello di arricchirs­i ma di riciclare e ottenere fondi europei perché il rischio sul piano penale è ridicolo rispetto ai guadagni». Gratteri sottolinea come «l’Europa non sia attrezzata sul piano normativo a contrastar­e le mafie, in particolar­e la ’ndrangheta. In Europa da decenni non c’è la percezione dell’esistenza della mafia, prova ne è che gli stati europei non vogliono attrezzars­i sul piano normativo come l’Italia. Ancora stanno discutendo se inserire nel loro ordinament­o l’associazio­ne a delinquere di stampo mafioso».

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La veglia in onore di Jan Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírova a Bratislava, in Slovacchia

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