ALLEGRI, ANCHE TU VINCI COL BEL GIOCO
La portentosa corsa di testa di Napoli e Juventus, che in quanto tandem viaggia a una velocità mai vista, frutta al campionato numerosi aspetti positivi - basti pensare che è la sfida più aperta nei grandi tornei europei, l’unica viva assieme a Barcellona-Atletico in Liga - e uno (ineliminabile) negativo: chi arriverà secondo risulterà battuto malgrado un cammino superlativo. Forse per ovviare a questa frustrante certezza, Maurizio Sarri ha ricordato l’Olanda ‘74 come formazione giunta seconda, eppure meglio ricordata della prima la Germania - grazie al gioco più innovativo e spettacolare. Ma considerare sconfitta quella generazione di olandesi è fuorviante: se è vero che la nazionale perse due finali mondiali consecutive, ma condizionata dal fatto di giocarle entrambe contro i padroni di casa (colmo di sfortuna mai più capitata a nessuno), è altrettanto vero che fra il ‘70 e il ‘73 il Feyenoord (una volta) e l’Ajax (tre di fila) monopolizzarono un quadriennio di Coppe dei Campioni. E dunque la generazione dei Cruijff e dei Neeskens, integrata dai Van Hanegem e protagonista di un calcio meraviglioso, va valutata fra le più vincenti di tutti i tempi. Non a caso i «discendenti», guidati dallo stesso tecnico - Rinus Michels - e dunque adepti dello stesso gioco, colmarono la lacuna storica vincendo l’Europeo del 1988.
La precisazione è necessaria perché le lodi generalizzate al gioco del Napoli, più che meritate, hanno innescato in Allegri e nell’intero ambiente juventino la reazione «Voi giocate bene, noi vinciamo». Il che è assurdo, perché ricrea una contrapposizione filosofica che speravamo archiviata per sempre. All’interno delle rispettive caratteristiche, chi gioca bene vince e chi gioca male perde. Punto. L’imprevedibilità dell’agonismo fa sì che ogni tanto ma molto di rado - succeda il contrario: è il motivo per cui si tende a definire veritiero il responso di un campionato, mentre le coppe sono più esposte all’eccezione. Quando dice «Chi vuole lo spettacolo vada al circo» Allegri manca di rispetto innanzitutto a se stesso e allo straordinario lavoro che in quattro anni l’ha portato a dominare ogni aspetto del gioco bianconero, tirando fuori capolavori di efficacia tattica - è il suo tipo di bellezza - come la vittoria al San Paolo.
Molte delle parole spese sul tema appartengono a precise strategie di comunicazione. Avendo vissuto i grandi duelli dialettici fra Mourinho e Guardiola, decrittare Sarri e Allegri non è poi così difficile. A Napoli hanno capito che la Juve patisce questa sorta di (presunta) «superiorità morale» e ci calcano la mano; a Torino la leggono invece come un tentativo di togliersi pressione e, definendo la vittoria l’unica cosa che conta, mirano a ricaricare la scimmia sulle spalle partenopee. Sono retoriche uguali e contrarie, a loro modo fanno parte dello show. Sarà interessante vedere se avranno risvolti sui rendimenti delle due squadre: Julio Velasco, per citare un tecnico maestro di psicologia e motivazione, non avrebbe detto nulla di quanto si è sentito per paura di fornire un alibi inconscio alle squadre (il Napoli che verrà ricordato anche se non vince, e quindi se la prenda comoda; la Juve che, al di là dei tre punti, può fregarsene di tutto, e quindi se ne freghi). Mind games, li chiamerebbe Sir Alex Ferguson. Ma quando capita di leggere in qualche intervista (ieri Skriniar, per esempio) la frase «Domenica non conta giocar bene, ma solo vincere», il fastidio per un messaggio culturalmente sbagliato - ribadiamo che è una contrapposizione che non esiste - risulta insopportabile. Per vincere è importante, quasi imprescindibile, giocar bene. Semmai si può dibattere sul concetto di «giocar bene», ma come ogni cosa attinente il gusto la verità assoluta è un’illusione. Quest’anno Guardiola sta toccando al City vertici di calcio posizionale assoluti, ma il modo in cui Klopp l’ha battuto - col contropiede vertiginoso e ultraverticale del Liverpool - ha fatto saltare tutti sul divano. Beati i neutrali, che possono godersi il meglio delle due scuole.