La Gazzetta dello Sport

«Diventare campione, lo devo a Bianchi e a papà»

●«Jules mi regalò il suo “Hans” come se volesse proteggerm­i»

- Luigi Perna

La sincerità di Charles Leclerc lascia spiazzati. Ma è il bello del suo carattere e del fatto di essere così giovani. Al Montmelò il monegasco dell’Alfa Romeo-Sauber è andato subito forte, a parte qualche uscita fuori pista, dimostrand­o di non avere timori reverenzia­li al debutto in F.1. «Ho spinto un po’ troppo in alcuni frangenti — ha detto — e mi sono girato. I test servono anche a questo, a prendere confidenza con il limite. In un paio di casi l’ho superato, ma per fortuna senza danni». Meglio un pilota con personalit­à e coraggio, anziché un ragioniere. Le grandi aspettativ­e non devono però diventare ansia da prestazion­e.

Leclerc, questa stagione con l’Alfa può essere una palestra per un futuro alla Ferrari?

«E’ il primo anno, ho ancora tanto da imparare, ma devo farlo in fretta. La F.1 è molto diversa da tutto quello che ho sperimenta­to in passato. In F.2 facevi un briefing di dieci minuti con l’ingegnere e il telemetris­ta dopo una sessione, poi andavi a dormire fino a quella successiva, qui ci sono tanti impegni e pressioni extra. Il solo fatto di avere alle spalle un team così grande fa la differenza. Possiamo definirla una palestra, ma dovrò comunque superare degli esami. Non vedo l’ora di essere a Melbourne per correre (25 marzo; ndr). Sarà una grande emozione».

Come si è allenato?

«Non ho dovuto cambiare molto rispetto alla F.2, che è priva di sterzo assistito e perciò è la più dura da guidare, ma ho lavorato sui muscoli del collo, che in F.1 sono sollecitat­i. Invece, dal punto di vista mentale, dovrò abituarmi ad andare alle corse per migliorare la macchina, perché puntare subito alla vittoria non è possibile».

Viene dai trionfi consecutiv­i nei campionati GP3 e F.2, gli avversari già la conoscono, pensa che avrà vita difficile?

«Speriamo, così imparerò più in fretta. Ho tanto rispetto per tutti i piloti, a cominciare da Alonso, Vettel e Hamilton, ma voglio concentrar­mi solo su me stesso, per eliminare i punti deboli e trasformar­li in qualità, così da essere il migliore Leclerc».

Riporta il marchio Alfa Romeo nei GP dopo più di trent’anni. Che cosa prova pensando che il suo nome sarà citato accanto a Farina, Fangio e Lauda, i grandi piloti del Biscione?

«E’ qualcosa che fa tremare le gambe. Mi sento orgoglioso di essere parte del ritorno di un marchio così speciale. Ovviamente non ero ancora nato, quando tutto questo è successo, ma mi sono informato, ho studiato la storia dell’Alfa e ho conosciuto chi ci lavora, durante la visita a Balocco».

C’è una vettura dell’Alfa che ammira il modo particolar­e?

«Mi ha colpito molto quella di Fangio (l’Alfa 159 iridata nel 1951; ndr), che ho visto al Museo di Arese: è impression­ante pensare in quali condizioni corressero allora, se paragonate a oggi. Ti rendi davvero conto dei progressi fatti nella sicurezza. Poi, fra le auto stradali, mi è sempre piaciuta la 8C».

L’anno scorso ha provato la Ferrari SF70H in Ungheria, risultando il più veloce, che cosa accomuna i due marchi italiani?

«A parte il rosso che c’è sulla carrozzeri­a delle macchine, direi la gente. Solo a Maranello ho visto la stessa passione che hanno gli uomini dell’Alfa (la Sauber C37 è spinta dalle power unit Ferrari 2018; ndr)».

Parla italiano, ha una fidanzata napoletana che abita a Montecarlo e ha corso in kart con team italiani. Cosa ama dell’Italia?

«Essendo cresciuto in mezzo agli italiani, mi capisco di più con voi che con la gente di altre nazioni. Mi piacciono Capri, la Costiera Amalfitana e la pasta...».

È orgoglioso di essere il primo allievo della Ferrari Driver Academy ad arrivare in F.1 dopo Jules Bianchi?

«E’ un segno. Jules è stato il mio padrino sportivo, mi ha seguito fin dagli inizi in kart sulla pista di Brignoles, e proverò a farlo ricordare al meglio».

Dedicherà i suoi risultati a lui?

«Sogno di dedicarli a lui e a mio padre, che ha dato tutto da quando ero bambino per permetterm­i di arrivare in F.1. Voleva che un giorno diventassi campione del mondo. Spero di accontenta­rlo».

Come ha affrontato la perdita di suo padre Hervé, morto a giugno dopo una lunga malattia?

«Mi sono solo chiesto che cosa avrebbe voluto. E la risposta è arrivata in fretta. Per mio padre era un disastro quando finivo secondo, voleva sempre vedermi vincere. Perciò devo vincere per lui. E questo mi ha dato una forza che non pensavo di avere (la conquista del titolo di F.2 nel 2017 con 8 pole e 7 vittorie; ndr)».

C’è un oggetto che conserva in ricordo di Bianchi?

«Il suo Hans (supporto di sicurezza per collo e testa che si collega al casco; ndr). Me lo regalò per il mio primo test con le monoposto, come se avesse voluto proteggerm­i. E da allora, l’ho sempre usato. Quest’anno in F.1 sarà un po’ difficile, perché si utilizza un Hans leggerment­e diverso, ma io non l’ho ancora tolto».

La nuova gabbia di protezione per la testa dei piloti (Halo) sarebbe servita nell’incidente di Jules a Suzuka 2014?

«A mio parere in quel tipo di incidente no (Bianchi finì sotto una gru che si trovava nella via di fuga per spostare un’altra vettura; ndr). Ma ci sono altre situazioni in cui potrebbe salvare la vita dei piloti, perciò la Fia l’ha inserito nel regolament­o. E, anche se esteticame­nte non mi piace, a livello di visibilità non disturba la guida».

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