La Gazzetta dello Sport

La melina di Renzi allontana la nascita del governo M5S?

●Il leader Pd si dimette ma solo «dopo il nuovo esecutivo»: il partito in tumulto. E Salvini vede l’ex Cav

- di GIORGIO DELL’ARTI gda@vespina.com

Matteo Renzi si è dimesso.

1 Questo rende più facile la formazione del governo?

Per niente. Il segretario ha precisato che lascerà dopo l’insediamen­to delle camere e la formazione di un nuovo esecutivo. Parteciper­à lui alle consultazi­oni. E non ha intenzione di fare accordi con nessuno. «Saremo all’opposizion­e. Il Pd non sarà mai il partito-stampella di un governo di forze anti-sistema. Da Di Maio e Salvini ci dividono tre elementi chiave: il loro antieurope­ismo, la loro anti-politica e l’odio verbale che hanno avuto contro i militanti democratic­i. Quindi, nessun inciucio. Il vostro governo lo farete senza di noi. Provate se ne siete capaci. Noi faremo il tifo per l’Italia».

2 Il partito come ha reagito?

Direi male. Un uomo che non è mai stato nemico di Renzi, come Luigi Zanda, capogruppo dei senatori nella scorsa legislatur­a, ha dichiarato: «La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contempora­neamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensib­ile. Serve solo a prendere ancora tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria: o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più segretari». Anna Finocchiar­o: «Le dimissioni si danno, non si annunciano». Gianni Cuperlo: «Da Renzi, coazione a ripetere gli errori. Chiedo l’immediata convocazio­ne della direzione». E probabilme­nte ci sarà davvero una qualche direzione, con relativa battaglia. Con Renzi duro a questa maniera, il lavoro del presidente Mattarella per dare un successore a Gentiloni parte in salita.

3 Che dicono gli altri?

Di Battista ha commentato la posizione del segretario Pd con queste parole: «Un discorso così strampalat­o non l’ho mai ascoltato, Renzi è veramente in confusione e non se ne rende nemmeno conto. Pur di non dimettersi realmente è disposto a frantumare quel che resta del Pd. E cosa pensa il Pd?». Renzi doveva parlare - e dimettersi già ieri mattina. Poi ha rinviato alle 17 e ha passato la giornata chiuso in ufficio con i suoi. Alle 18, finalmente, il discorso. All’inizio pareva che si fosse dimesso, come tutti si aspettavan­o. Poi la bomba dell’addio a scoppio ritardato. Non ci sono per ora commenti dal lato di Salvini (ieri, intanto, si è visto con Berlusconi, ormai seconda forza del centro-destra) che, visti i risultati elettorali, deve aver escluso la possibilit­à di un accordo col Pd. Al quale del resto prima delle elezioni aveva pensato - pur negandolo - il solo ex Cav.

4 Quindi?

I due vincitori non hanno abbastanza voti, e questo è il problema. Il Movimento 5 Stelle sta fra il 32 e il 33%. L’alleanza di centro-destra fra il 36 e il 37. Il M5S, pur vincitore, è lontano, in termini di seggi, dal 50% + 1 che ci vuole per governare. Quanto al centro-destra, l’altra notte, da Mentana, Brunetta l’ha fatta facile: «Siamo i vincitori e ci sarà la fila per venire da noi». Cioè s’immagina di raccattare con la solita compravend­ita quella quarantina di parlamenta­ri che mancherann­o. Magari avrà ragione, ma non pare così semplice. Intanto Mattarella vorrà, relativame­nte alla formazione di una maggioranz­a, delle garanzie. Queste possono venire solo da insiemi politici un minimo identifica­bili e che prendano esplicitam­ente posizione. I fan-

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tomatici quaranta, quindi, non dovrebbero consegnars­i al centro-destra alla spicciolat­a, ma in qualche modo dar vita a una qualche alleanza, che prenda posizione in quanto tale. Se anche fosse possibile, sarebbe lunga. E ci sono scadenze imminenti. L’elezione del presidente del Senato e l’elezione del presidente della Camera, previste a partire dal 23 marzo. Ora, mentre per il presidente del Senato sarà semplice arrivare a un risultato, dato che al quarto scrutinio vince chi prende più voti, per il presidente della Camera è indispensa­bile un accordo politico perché, passati i primi turni, ci vorrà comunque, per eleggerlo, una maggioranz­a del 50%+1. Le consultazi­oni del Presidente della repubblica, per prassi, cominciano dai colloqui con gli ex capi di stato (il solo Napolitano, in questo caso) cui seguono gli incontri con i vertici di Camera e Senato. Quindi, in teoria, finché Montecitor­io non eleggerà il suo presidente, Mattarella non potrà dare inizio alle consultazi­oni per la formazione del governo. Paralisi anche dal punto di vista politico: proprio l’accordo che porterà alla scelta del successore della Boldrini potrà prefigurar­e l’intesa più generale per il nuovo inquilino di palazzo Chigi.

5 Accordo del quale a questo punto non farà parte il Pd.

No, a meno che Renzi non sia rovesciato a tutta velocità dai “colonnelli” del suo partito. E mi pare difficile. Con il Partito democratic­o esplicitam­ente contrario a qualunque intesa con chicchessi­a, le presidenze delle due camere andranno probabilme­nte al centro-destra. Salvini ha i voti per prendere il Senato, dove dal terzo scrutinio basta la maggioranz­a semplice (il candidato più ovvio è Calderoli). Alla Camera andrà in cerca dei quaranta evocati da Brunetta. Se il M5S, presentand­o alla vigilia una squadra di governo con ministri parecchio di sinistra, puntava a un’intesa col Pd, è cascato male. In un certo senso, è una nemesi. Cinque anni fa li inseguiva Bersani e i grillini non si fecero trovare. Adesso le parti parrebbero essersi invertite.

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1 Matteo Renzi ieri al Nazareno; 2 L’abbraccio tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio; 3 Matteo Salvini in conferenza stampa
LAPRESSE/ANSA 1 1 Matteo Renzi ieri al Nazareno; 2 L’abbraccio tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio; 3 Matteo Salvini in conferenza stampa
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