La Gazzetta dello Sport

UN MONDO ANCORA INDIETRO

- Di VALERIO PICCIONI

Fra pochi mesi le denunce di Zdenek Zeman sul «calcio che frequenta troppo le farmacie» compiranno 20 anni.

Fra pochi mesi le denunce di Zdenek Zeman sul «calcio che frequenta troppo le farmacie» compiranno 20 anni. Da allora, in Italia e altrove si è andati avanti fra positività (poche), allusioni (diverse, anche d’autore) e sospetti (molti). Continua a essere molto diffusa l’idea che il calcio sia trattato con diversi riguardi in più rispetto ad altri sport bastonati, ciclismo e atletica in primis. Nello stesso scandalone russo, della famosa lista di calciatori positivi con il bollino «da salvare», si è parlato decisament­e poco: agli atleti di Mosca è stato vietato di gareggiare con la loro bandiera alle Olimpiadi, ma il Mondiale 2018 organizzat­o da Mosca non è mai stato minimament­e in discussion­e, come se appartenes­se a un altro pianeta.

Cerchiamo di restare però ai dati oggettivi: la lotta al doping non deve buttarsi nel primo luogo comune a disposizio­ne, anche se alla storiella «zero positivi zero doping» non abbiamo mai creduto (ricordiamo­ci che anche Lance Armstrong aveva passato tutti i controlli...). Bisogna fare di tutto in ogni caso per contrastar­e l’idea di controlli a doppia velocità/incisività, dunque con figli e figliastri. In questo senso, la giornata di ieri – con le due vicende di Joao Pedro e De Vrij, pure molto diverse fra loro e su cui è certamente

prematuro trarre qualsiasi conclusion­e prima che la giustizia sportiva faccia il suo corso – ha un valore anche simbolico perché dimostra un’attenzione, un livello di vigilanza, in particolar­e in Italia, che è comunque un dato importante perché il rispetto delle regole sia uguale per tutti.

Comunque, su questo terreno il calcio ha ancora tanta strada da fare. Ricordiamo­ci che oggi l’antidoping che conta è quello dei controlli a sorpresa. Non tanto, o comunque non solo, nei centri di allenament­o delle squadre, ma proprio a casa, magari come risultato di una serie di indizi raccolti. Una situazione che in

diversi altri sport è ormai prassi e che nel calcio ci risulta decisament­e rara. Ai Giochi di Rio 2016, durante il mese olimpico, non c’è stato nemmeno un controllo a sorpresa, ma solo alla fine delle partite (sono stati gli osservator­i Wada a scriverlo). Per non dire del passaporto biologico, che nel calcio è ancora parecchio indietro: siamo a un terzo degli esami dell’atletica e a poco più di un quinto di quelli del ciclismo.

Insomma, si può e si deve fare di più per combattere il fenomeno, anche per capirne le dimensioni. Senza luoghi comuni, ma anche senza tabù.

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