Pozzerle è d’argento Quella tavola azzurra che batte il mito Minor
Avolte capita di far cadere i propri miti. Per Manuel è andata così. C’è un pizzico di sano irrealismo nella terza medaglia azzurra in tre giornate della Paralimpiade. Quello che comunque fa parte della mente di chi fa snowboard, disciplina che ha saputo regalare un argento e tre azzurri fra i primi otto del mondo nel cross. Il mito si chiama Mike Minor, statunitense nato con solo una piccola parte del braccio destro, evoluzioni da extreme sulla tavola. Il migliore del mondo per unanime riconoscimento, arrivato in Sud Corea con oro prenotato. Azzurri sulla sua strada. Nei quarti elimina Paolo Priolo e in semifinale trova Manuel Pozzerle. «Quando ho visto che avrei dovuto incontrarlo, mi sono detto: ok, va bene, mi fermo qui». Ma nello snowboard, quando non gareggi contro il tempo, ma sei uno contro l’altro come nel cross tutto può capitare, anche per chi, come Minor, si può permettere un salto mortale a una Paralimpiade, 360 gradi in qualificazione. «Non ho visto che è caduto, mi sono girato e non lo vedevo. Non ci credevo fino a quando non ho tagliato il traguardo. Mi bastava già questo». Per Manuel Pozzerle, 38 anni, veronese, Tesserato per SportDiPiù Torino, una mano amputata a trenta per un incidente in moto, si sono aperte le porte della finale, persa poi con l’australiano Patmore. Altro azzurro sulla strada dell’americano degli XGame di Espn: nella finale per il bronzo non lascia scampo a Jacopo Luchini.
STORICA Quella di Pozzerle è una medaglia storica per l’Italia, la prima nel para snowboard, sport paralimpico da Sochi 2014, che a Pyeongchang ha ampliato il panorama delle discipline con cross e banked slalom (venerdì, in gara ci sarà anche l’altro italiano Roberto Cavicchi, con diretta su RaiSport). «L’ho pesata, sono 585 grammi, ma sul collo pesa molto di più. A Sochi, quattro anni fa, era stato un mezzo disastro, ci era stato chiesto un riscatto». Il primo pensiero di Manuel è per chi sta a casa: «Ciao Nives, ciao Sara», dice mandando un bacio davanti alle telecamere. «Ho fatto sacrifici io, ma anche la mia compagna, Sara, se sono qui è molto grazie a lei».
DEDICHE Nel 2009 era di ritorno verso casa e ha perso il controllo della sua moto, sbattendo violentemente contro un muro. Alla mano sinistra non arriva il sangue, cure difficili e lunghe. «Ero stanco di stare in ospedale, della mano rimaneva il mignolo e una piccola parte del palmo. La soluzione migliore era amputare». Così ha deciso e sono seguiti giorni non facili. «Dovevo reimparare tutto, da allacciarmi le scarpe o mettere il dentifricio sullo spazzolino. Anche il mio lavoro precedente non era più possibile. Ci sono stati momenti difficili». Superati anche per l’uso di una piccola protesi e dalla scoperta dello sport paralimpico. «Mi dicono: prova lo snowboard. Prima dell’incidente era solo un divertimento. Alla prima gara, gli Assoluti a Moena nel 2013 finisco ultimo». Sarebbe bastato per dire basta a tanti. Non per Manuel. «L’anno dopo divento campione italiano e poi europeo», racconta ancora l’azzurro. E ora è fra quelli da battere nel mondo, lasciandosi dietro il mito Minor e con al collo una medaglia paralimpica.
LE PAROLE
La dedica per la compagna Sara. Il riscatto di Sochi 2014. E’ la terza medaglia per la spedizione italiana