WRIGHT: «NON MI FERMA NEMMENO LA SCLEROSI» GOGGIA SU GOGGIA «SENZA PIÙ LO STRESS SCIARE È UNA POESIA»
●Dopo il trionfo olimpico e la Coppa di discesa, la terza vittoria stagionale nella specialità in cui ha più faticato: «Dall’infortunio a Soelden alle finali di Are, un crescendo straordinario»
IN SUPERG MI SENTO FORTE, MA NON ERO RIUSCITA A ESPRIMERMI
SOFIA GOGGIA OLIMPIONICA DISCESA
QUI VOLEVO FARE QUELLO CHE NON MI ERA RIUSCITO IN COREA
INVIATO A ARE (SVEZIA)
Questa volta si è inchinata. Come una danzatrice del Bolshoi, come un soprano alla Scala. Sofia Goggia celebra la sua apoteosi ad Are, vince anche il superG delle finali di Coppa. Con la faccia serena, distesa, con lo sguardo fiero di chi ha sconfitto la pressione prendendosi tutto quello che doveva e che, adesso, può cogliere anche le primizie. C’è ancora il gigante di domenica prima di dichiarare chiusa la stagione, per mettere la parola fine sulla sua Eneide, su una stagione che le ha dato un oro olimpico, una Coppa di specialità, tre vittorie nel circuito e la consapevolezza di poter controllare le situazioni più difficili, di avere la testa per andare sempre oltre, per ricavare il bello dal brutto.
Goggia, ha vinto ancora. E pensare che mercoledì dopo la discesa si sentiva esausta.
«In effetti ho avuto un momento di stanchezza pazzesco. Ero sfinita, però fiduciosa per il superG. Mi sono detta “se viene qualcosa di buono, bene”. Non ho avuto nemmeno bisogno di meditare, di mettermi le cuffie da poligono».
Com’era la pista?
«Ha tracciato Rulfi (tecnico azzurro). Il giorno prima della gara, durante l’ispezione, facciamo sempre un video grazie a un allenatore che va giù a spazzaneve. Quando l’ho visto mi sono detta “Io qui ci sono”. In ricognizione ho avuto la sensazione di conoscere già la pista, così quando a metà ho visto Luca gli ho detto “hai tracciato una poesia”. E lui mi ha risposto: “Bah, poesia... Piuttosto cerca di stare sui due piedi, scia bene e rimani concentrata”».
Anche perché in superG non era andata benissimo, quest’anno.
«Al mio skiman Federico Brunelli ho scritto: “Oggi voglio fare quella cosa che non sono riuscita a fare fino in fondo in Sud Corea, cioè finire il superG”. In questa disciplina mi sento forte, ma finora non ero riuscita a esprimermi al massimo, se non in una gara all’anno».
Proviamo a ripercorrere questa straordinaria stagione? Partiamo da Soelden.
«Lì è stata dura. È stata la gara dell’anno in cui ho provato maggiormente la pressione. Al cancelletto mi sentivo inadeguata, ho sciato tesa, non stavo bene. In più mi sono fatta male al ginocchio sinistro e per 20 giorni sono rimasta a casa. Sono partita per gli Usa preoccupata».
Killington e Lake Louise?
«Senza infamia e senza lode. Non ero me stessa. Il fondo però l’ho toccato a St. Moritz. Ero irriconoscibile, non stavo bene. Quando passi da zero a cento in una stagione, quando in un colpo fai 13 podi e una medaglia iridata, la gente inizia a farti mille domande, a chiederti quanto sia difficile riconfermarsi. Queste cose ti mettono mille dubbi, tu quasi ti convinci che sia così, anche se sai di aver dato tutto nella preparazione».
Poi è arrivata Val d’Isère, con un secondo e un terzo posto in due superG.
«Lì è scoccata la scintilla, ho ricominciato a sciare. Ho capito che se in gigante stavo facendo fatica perché a Copper non eravamo riusciti a lavorare, in velocità c’ero. La svolta è avvenuta la notte del 31 dicembre».
Capodanno sugli sci?
«No, mentre tornavo a piedi dalla cena a casa del mio amico
Giovanni di colpo ho pensato: “Cavolo, mancano 40 giorni ai Giochi. Basta coi social, è ora di estraniarsi. D’ora in poi sarò un cecchino”. Sono andata in un negozio biologico a comprare gli alimenti giusti, in allenamento facevo gigante la mattina e slalom il pomeriggio e tutto andava bene. Così è arrivato il podio a Kranjska».
Poi c’è stata la vittoria in discesa di Bad Kleinkirchheim.
«Una tappa chiave. Già in superG ero andata forte, ma avevo fatto tre errori e sono arrivata decima. In discesa sono riuscita a trasformare quella rabbia in un capolavoro, un secondo di vantaggio su una gara da un minuto. Quel risultato mi ha trasformato, ha fatto sì che mi sentissi leader, che riuscissi a motivare anche gli allenatori. Quando sto così smuovo anche le montagne».
Era così carica che a Cortina ha fatto e disfatto tutto.
«Nelle due prove la Vonn mi aveva dato un secondo, ma il venerdì ho vinto. Il giorno dopo sono caduta. Lì ho capito che nella vittoria avevo costruito la sconfitta. Avevo attribui- to il successo non tanto ai miei meriti, ma ai demeriti di Lindsey, così nella seconda gara ho oltrepassato il limite. Per fortuna mi sono rialzata: quando sono caduta sul salto delle Tofane mi sono detta “sono morta”, non so quante sarebbero riuscite a superare una cosa del genere. Quell’incidente, però, ha fatto sì che la mia stagione andasse così. Ho dovuto scardinare certi meccanismi mentali, ritrovare un equilibrio e in più il ginocchio era tornato a farmi male. Solo che, a differenza di inizio stagione, non avevo 15 giorni per recuperare. Dovevo continuare a danzare».
Come ha fatto?
«Per il ginocchio ho fatto delle infiltrazioni e a Milano ho trovato la soluzione. Per Garmisch mi sono creata una bolla. Mi aspettavano due gare, sabato e domenica, e il lunedì sarei partita per la Corea».
Dove ha fatto il capolavoro.
«La svolta è stata prima del gigante, quando sono salita a Jeongseon per allenarmi in superG. Lì ho detto “ci sono”».
Ed è arrivato il superG, con l’errore che le è costato la medaglia e le sensazioni sulle quali ha costruito l’oro in discesa.
«Uno dei giorni più felici della mia vita. Nella sciata ho provato un’autenticità pazzesca, ho sbagliato perché mi sono abbandonata al piacere. Così ho iniziato a costruire la discesa».
E le prove?
«Nella prima ho cercato le linee giuste, in un passaggio ho trovato la traiettoria chiave che non ho più replicato perché temevo che la copiassero».
E il giorno della gara?
«Ero così concentrata che non ho sentito pressione».
Restava ancora una Coppa da conquistare.
«A Crans ero irrequieta, ma tutto è stato affrontato in funzione di questa discesa. Prima della gara l’attesa è stata eterna e la tensione enorme, ma sono riuscita a costruirla bene».
Come sta ora il ginocchio?
«Bene. Farò delle analisi, qualche cura preventiva, ma tutto ok».
Nel 2019 ad Are ci saranno i Mondiali.
«In un anno può cambiare tutto. Mercoledì abbiamo effettuato metà discesa. Sul percorso completo cambieranno tante cose. C’era una sola curva a 110 km/h».
Come preparerà la nuova stagione?
«Voglio sedermi al tavolo con le persone del mio staff, quelle che mi sono scelta e quelle della federazione, per stabilire gli obiettivi, stilare un programma condiviso e muoversi in quella direzione».
Cambierà qualcosa?
«Non ci ho ancora pensato, devo sentire tutti. Vorrei avere un allenatore dentro la Fisi che mi segua di più, ne parlerò con chi di dovere al momento giusto».
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