Folgorati da Minozzi Stella in miniatura Nei Top 6 del Torneo
●Sconfitta la regola che vuole solo maxi-rugbisti: 1.75 per 75 kg supportati da un talento... gigante
Immarcabile. Impossibile fermarlo più. Matteo Minozzi, lampo azzurro più brillante del Sei Nazioni, non finisce la sua corsa sfrenata e chiude a 21 anni, alla prima partecipazione, al quinto posto nella classifica di «Giocatore del Torneo», dominato dai campioni irlandesi e con il coetaneo di Minozzi, Jacob Stockdale, vincitore. Un riconoscimento che premia l'apparizione di un talento naturale al quale O'Shea ha affidato la maglia numero 15 facendolo debuttare da titolare e lasciandolo lì, per 5 match chiusi con 4 mete (record italiano in un'edizione), ma soprattutto stupefacente nell'impatto palla in mano in avanzamento (268 i metri percorsi), con scatti brucianti, cambi di passo e grande personalità per un ragazzo alla prima stagione da pro. «La meta più bella? Quella al Galles, con Liam Williams, Gareth Davies e Steff Evans dribblati in corsa» il suo commiato condito da uno sguardo che bruciava di soddisfazione.
PICCOLINO Una rivincita enorme sulle regole del rugby moderno, che vogliono giocatori altissimi, possenti e velocissimi. Tre caratteristiche giudicate essenziali: Minozzi ne possiede solo una. Al punto che rischiò, adolescente, di perdere il treno per la sua bassa statura e fisicità. Uno di 175 cm e leggerino (solo ora, col lavoro in palestra, pesa 75 chili), non aveva speranza. Quel che ha salvato dal «progetto altezza» quel ragazzo padovano, figlio di Umberto, ala del Petrarca 4 voltare campione d'Italia, è il talento immenso. E lo stupore di chi lo allenò. Daniele Frasson, nel 2012, lo ebbe nelle giovanili del Valsugana: «Era fra i più giovani del gruppo, era una capretta in campo. Non saprei descriverlo in altro modo: amava correre, dribblare, veloce, dotato, imprendibile, capacità naturale di saltare l'uomo nell'uno contro uno. Istinto, velocità, buone mani, coraggio. E un buon piede che ne faceva un giocatore completo. Si vedeva che si divertiva da matti a giocare. Lo spostai da apertura a estremo e iniziò a far male con le sue corse pazze e ispirate. Mi sono aggiunto all'elenco di sostenitori presso l'allora tecnico della Franchigia di Mogliano, Massimo Brunello. Lo vide in un match col Rovigo. Era novembre: lo chiamò da esterno e ogni mercoledì andava ad allenarsi con l'Under 18».
BRUNELLO Minozzi, con una bellissima «faccia da schiaffi» che tanto serve in una Nazionale di personalità, ha sempre speso parole bellissime per Brunello, che dall'Accademia se l'è portato a Calvisano, dove Minozzi in due anni ha fatto sfracelli: «Uno così piccolino non aveva le carte per entrare in Accademia, ma dal Valsugana mi arrivarono tante segnalazioni. Mi sono innamorato del suo modo di giocare, perché da giocatore ero un po' come lui, amavo il contrattacco, le finte. Diciamo che il mio lavoro è stato quello di non far danni. Non si può ingabbiare uno così in schemi troppo rigidi e l'ho lasciato fare. Pure un gran piazzatore, che nella semifinale e nella finale scudetto ha anche calciato. L'unica cosa che gli rimproveravo era la necessità di maggiore rigore negli allenamenti, ma il salto di qualità alle Zebre, senza dubbio, c'è stato anche sotto questo punto di vista: l'ho visto emergere anche in fase difensiva, si vede che sta maturando. In più è un grandissimo appassionato di rugby: studia, vede partite, analizza i giocatori». Minozzi, prima di Francia-Italia, ha raccontato di ammirare Quade Cooper e Damian McKenzie. «Posso scommettere che il suo obiettivo è arrivare là, a quel livello. Minozzi è così».
TRONCON Ora, alle Zebre, ha Alessandro Troncon, grande mediano di mischia azzurro, come coach dei trequarti, che sentenzia: «E' stato importante per Minozzi a 20 anni iniziare una sfida importante come quella del Pro 14. Perché a certi livelli ti rendi conto che il talento non basta più. Devi lavorare per emergere. E lui l'ha capito. Ho visto tanti giovani di grandi prospettive perdersi davanti alle difficoltà. Lui no. Mi piace la sua crescita anche dal punto di vista tattico: un estremo deve essere bravo anche nell'anticipare, nel posizionarsi, deve saper controllare anche i movimenti dei compagni, non solo le ali ma anche la seconda linea o la terza linea di difesa. Minozzi ha l'X Factor, ha la giusta ambizione e la maturità di capire le sue debolezze e affrontarle di petto. Ora non deve fermarsi. Assolutamente no". E chi lo ferma più?
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IL NUMERO
Le mete dell'estremo delle Zebre: è il record azzurro in un'edizione del Sei Nazioni