«MA PALLONE E ATLETICA NON SONO AMICI»
MANNO (SCUOLA DELLO SPORT DEL CONI) E’ SCETTICO, BERRUTO TIFA PER BOLT: «VICENDA INTERESSANTE»
Quant’è lunga la strada da sprinter più veloce al mondo ad ala sinistra in un «grande campionato professionistico di calcio»? Molto. Tanto che è un cammino raro, che in genere funziona al contrario, e quando sei molto più giovane. Cominci da calciatore, prosegui da velocista, come il britannico Adam Gemili. «Sulla carta sarà dura. Atletica e calcio sono due mondi che tecnicamente non sono amici», ci spiega Renato Manno, docente della scuola dello sport del Coni. Questo percorso, però, entusiasma Mauro Berruto, eclettico coach azzurro, ieri alla guida della nazionale di volley, oggi al lavoro con quella di tiro con l’arco. «E’ una delle vicende più interessanti della storia dello sport. Se riuscisse, sarebbe una spallata formidabile alla religione dell’ i per specializzazione. Qualcosa di simile è accaduto anche per l’accoppiata sulla neve a PyeongChang della Ledecka, doppio oro a PyeongChang fra snowboard e sci alpino. Ma con Bolt sarebbe diverso, perché atletica e calcio sono molto più lontani».
SPAZI E PALLONI «Naturalmente bisogna capire la predisposizione tecnica. Correre con il pallone non è la stessa cosa che correre senza. Nell’atletica, corri e non ti fermi. Il calcio è invece fatto di velocità e frenate, è fondamentale la capacità coordinativa», spiega Vincenzo De Luca, collaboratore dell’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport dell’Acqua Acetosa. «Il problema è anche lo sviluppo del calcio di oggi: tutto si svolge in spazi stretti». Questo degli spazi è un argomento sul quale insiste anche Manno. Il paragone con le tante migrazioni di velocisti o ostacolisti – da Jim Hines a Tommie Smith, ma forse il più celebre è stato negli anni ‘80 Renaldo Nehemiah, il re dei 110 ostacoli poi finito ai San Francisco 49ers – non regge. «Rispetto al calcio, nel football c’è un numero inferiore di variabili». Anche il rugby sembra più amico dell’atletica a partire dalla grande favola di Eric Liddell, «internazionale» con l’ovale in Scozia e campione olimpico dei 400 ai Giochi di Parigi 1924. «La capacità di fare le scelte giuste in questi spazi così diversi e imprevedibili – continua Manno - o ce l’hai già da giovanissimo, oppure la devi costruire in anni. Ma lui è un campione eccezionale, magari fa un miracolo…». «Io tifo per lui – torna alla carica Berruto – certo non sono convinto che l’ambiente del calcio sia poi così contento di una sua riuscita». Gelosia? «Dico il calcio, ma direi la stessa cosa per altri sport, la pallavolo o il basket».