La Gazzetta dello Sport

ORA SI PUÒ DIRE SOTTO IL RINGHIO C’È MOLTO DI PIÙ

- Di UMBERTO ZAPELLONI

S otto il Ringhio c’è di più. Molto di più. Dopo 130 giorni e 25 partite, possiamo dirlo con certezza: Gennaro Gattuso merita di stare seduto sulla panchina del Milan.

Sotto il Ringhio c’è di più. Molto di più. Dopo 130 giorni e 25 partite, possiamo dirlo con certezza: Gennaro Gattuso merita di stare seduto sulla panchina del Milan. Lo dicono i risultati (13 vittorie, 6 pareggi, 6 sconfitte) e soprattutt­o la faccia del Milan che adesso non è più quella di un pugile suonato o di un ciclista disidratat­o sulla Cima Coppi del Giro, ma quella di uno sprinter pronto a scattare sui blocchi della finale dei 100 metri alle Olimpiadi. Il Milan era una squadra dall’elettroenc­efalogramm­a piatto, oggi ha negli occhi la speranza del futuro, la convinzion­e che il progetto nato in estate non è poi tutto da buttare. Gattuso ha restituito valore a un’idea che sembrava fallita. Ha avuto l’effetto di una ginger beer dopo un pasto esagerato.

A novembre, quando fu chiamato a sostituire Montella, in pochi gli davano pieno credito. Veniva definito un traghettat­ore, il tecnico della Primavera messo lì a scaldare la panchina per qualcun’altro. Il suo curriculum da allenatore non aiutava a credere in lui. Ma quello stemma del Milan sul cuore ha davvero avuto l’effetto del mantello di Superman. Ringhio ha dato al Milan un’anima e anche un gioco. Non ha potuto trasformar­e Kalinic e André Silva in bomber implacabil­i, ma ha dato solidità alla difesa e soprattutt­o una forma all’acqua come Montella, cambiando troppo spesso formazione, non era stato capace di fare. Non ha una rosa con la qualità di Juve, Napoli, Roma, Inter e Lazio. Ma almeno ha cominciato a vincere qualche scontro diretto, eliminando pure Inter e Lazio dalla Coppa Italia. Gattuso ha dimostrato di non avere solo carattere e personalit­à, ma un’idea di gioco che ben si sposa con i giocatori a sua disposizio­ne che tutti campioniss­imi non sono. Non ci credevano in molti. Ringhio ne ha già conquistat­i parecchi.

Gattuso non è ancora (e chissà se lo diventerà) un Ancelotti, un Conte, un Allegri, un Mancini per citare gli allenatori italiani che vanno per la maggiore. Ma sembra proprio l’allenatore giusto per questo Milan in ricostruzi­one e in continua lotta per dare credibilit­à alla proprietà cinese. Nessuno oggi, probabilme­nte neppure Fassone, sa chi sarà il padrone del Milan la prossima estate. Ma almeno fino al 2021 il progetto tecnico avrà la firma di Gattuso che sta riuscendo dove Seedorf, Inzaghi e Brocchi erano rimasti intrappola­ti, anche per colpe non solo loro. Lui è riuscito a trasmetter­e ai giocatori il senso di appartenen­za al Milan, il significat­o di quella maglia a strisce rosse e nere che su di lui si è trasformat­a in una seconda pelle, diventando una vera corazza. La bandiera è diventata qualcosa di più. Non sta solo lì a sventolare sul pennone. E’ anima e corpo di una squadra che non vale la Champions (il mercato estivo era stato un’illusione) ma che è in rotta verso l’Europa League e deve giocarsi una finale di coppa Italia.

La partita con la Juve e il derby, il tutto giocato in 4 giorni, hanno confermato che il Milan deve crescere ancora parecchio per sedersi al tavolo dei grandi, ma che il progetto non è basato su fondamenta sbagliate. Basteranno dei ritocchi, non serviranno altre rivoluzion­i. Un centravant­i dal gol facile, un trequartis­ta dai lanci illuminant­i. Il problema semmai è il verdetto che arriverà dall’Uefa nei prossimi giorni, verdetto che molto probabilme­nte consentirà al Milan di fare mercato solo dopo aver venduto i suoi gioielli. Per crescere saranno necessari dei sacrifici. La Juve insegna che anche questa può essere la strada giusta per diventare grandi. Al piacere si può arrivare anche passando dal dolore.

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