IL MIO INDURAIN: MI STACCA SEMPRE, CON IL SORRISO
La prima volta che ho sentito parlare di Miguel Indurain? Era il 1985 e si correva una Premondiale in Veneto. Io non lo vidi perché restò in fuga tutto il giorno, lo riprendemmo solo all’ultimo giro. Aveva 21 anni e il suo modo di correre era uno solo: andare in fuga. Quando ha vinto al Giro e al Tour, non ci incontravamo mai se non alla partenza o nei primi chilometri. Sì, proprio così: lui amava partire in coda e terminare le tappe davanti. Io preferivo iniziare in testa, ma ero poi costretto a finire dietro, ma per la forza, che non avevo.
Mi ha sempre colpito la sua tranquillità, il suo modo di essere un vincente, senza la necessità di tagliare per primo il traguardo. A crono volava, in salita staccarlo era quasi impossibile e nel 1995 perse il Mondiale per una foratura al penultimo giro. Quel giorno vinse Olano, ma il più forte era lui, Miguel. Preparò quel Mondiale come la corsa della vita. Si correva in altura, in Colombia, e per questo pensò bene di allenarsi come mai aveva fatto. Dopo il quinto Tour, passò da casa, cambiò valigia e prese il primo volo per il Colorado dove restò per 45 giorni. Allenamento, solo allenamento. Un Mondiale mancava nel suo palmares, ma un giorno Armstrong (1993), un giorno Olano (1995) e un altro ancora Bugno (1991), quell’emozione non è riuscita a provarla. Ma per lui non cambia nulla, almeno così sembra nel guardarlo. Tranquillo e sereno allora, tranquillo e sereno adesso. Mai avuto la necessità di vincere a tutti i costi: amava correre e l’ha fatto fino a quando non gli pesava allenarsi. Il giorno che ha sentito nausea per la bicicletta ha detto basta, nonostante gli offrissero 5 miliardi di lire. Era il 1997.
In bici ci va sempre, ma soltanto se non piove e non fa freddo. La nausea del 1996 è durata poco. Quando esco con lui, mi stacca sempre.
E si diverte, come sempre.