La Gazzetta dello Sport

«Grazie Perugia, con te mi è tornata voglia di giocare»

● «A Palermo mi era passata Sarei tornato anche in A, ma gli allenatori di oggi vogliono dei robot...»

- Nicola Binda

«Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori!» canta Cesare Cremonini, bolognese doc. Alessandro Diamanti, bolognese d’adozione, il numero 10 l’ha stampato sulla pelle, a Perugia ha preso il 21 come gli ha consigliat­o il suo amico Andrea Pirlo e i rigori li sbaglia raramente. E soprattutt­o, da quando è stato tesserato (16 febbraio), la sua squadra ha infilato uno strepitoso filotto: 8 partite, 7 vittorie e un pareggio.

E se fosse arrivato prima?

«Ho trovato un gruppo di bravi ragazzi. Se avessi trovato qualche testa di c... sarei anche potuto tornare a casa subito. Invece sono contento, fa piacere andare a lavorare con questi compagni, e condivider­e questi grandi risultati con loro».

Sei spezzoni in campo, un gol su rigore, diversi assist e una presenza forte nello spogliatoi­o.

«Ho sempre avuto peso negli spogliatoi, cerco sempre di aiutare i compagni, qui a Perugia mi fa particolar­mente piacere trovare ragazzi che ascoltano».

Ma perché uno come lei ha dovuto aspettare quasi 8 mesi per trovare squadra?

«Una scelta mia. Dopo l’anno nel Palermo mi era un po’ passata la passione, a livello umano. Perugia mi è piaciuta subito e sto tornando il vero Diamanti».

Otto mesi che non ha passato sul divano...

«Macché divano! Mi sono allenato seriamente all’Isokinetic e anche con gli Allievi nazionali del Bologna di mister Magnani».

Dica la verità: aspettava una chiamata dalla A.

«Qualche chiamata l’ho anche avuta, ma erano un po’ forzate. Nulla di serio e convincent­e. Meglio aspettare, non sono uno che si accontenta. Le partite in tv le vedevo, credo che a qualcuno avrei fatto comodo, ma l’interesse giusto non c’è stato. Non volevo fare come al Watford, che mi ha preso malgrado l’allenatore avesse altre idee tattiche e poi sono stato sei mesi a guardare gli altri».

In A gli aspetti tattici incidono molto?

«Sì, tanti allenatori tendono a “robotizzar­e” i giocatori, sanno che con me è difficile e quindi... Meglio avere giocatori non pensanti, lasciamo perdere».

Perché ha scelto il Perugia e non una delle altre squadre di B e C che l’hanno cercata prima?

«Lo vedevo giocare in tv, mi piace la città, è bastata una chiamata del presidente, che ha toccato le corde giuste, e via. E poi mi piaceva il Perugia di Nakata e Ravanelli, quello di Gaucci: ci sono venuto volentieri».

Ha detto di no alle proposte dall’estero perché non si è trovato bene in Cina?

«No in Cina sono stato benissimo. Mi sento bene fisicament­e e penso di poter dare tanto in Italia. Per andare negli Emirati Arabi o in America c’è tempo».

Si è pentito di essere andato in Cina nel 2014? Era reduce dagli Europei 2012 e dalla Confederat­ion 2013 con la Nazionale e dagli anni d’oro di Bologna.

«Stavo benissimo a Bologna, non sono andato in Cina per una questione di soldi. Ho fatto quell’esperienza, ho vinto e sono tornato a casa».

C’è un rimpianto?

«Mai avuti. Se tornassi indietro, l’unica scelta diversa che farei sarebbe quella di rimanere al West Ham per tanto tempo e giocare in Premier League. Che forse allora non era quella di adesso».

La sua carriera vera è cominciata a 24 anni, quando è salito dal Prato in C2 al Livorno in A. Dieci anni dopo cosa si sente di dare ancora al calcio?

«Tanto. Se non avessi avuto stimoli, sarei stato a casa. Ne ho forse di più ora di quando ho cominciato».

L’ultima volta che è stato in B, nel 2008-09, la vinse col Livorno e poi decollò per Londra.

«Una squadra che mi è rimasta nel cuore, Livorno è casa mia.

Quella promozione fu fantastica, un campionato durissimo vinto ai playoff con tutta la città a sostenerci».

È cambiata la B da allora?

«È un po’ più giovane ma sempre molto difficile, molto muscolare. Ogni squadra, se sta bene, ti può mettere in difficoltà».

Quante possibilit­à ha il Perugia di salire in A?

«Non lo so. Noi dobbiamo solo restare umili e giocare da squadra umile. Se continuiam­o così possiamo dare fastidio a molti. Se invece cambiamo, facciamo fatica con tutti».

Due attaccanti come Cerri e Di Carmine li hanno in pochi in B. E lei con i suoi assist li sa esaltare.

«Il nostro punto di forza deve essere la squadra, non Diamanti o un altro singolo giocatore. Ci difendiamo in undici e questo è un valore aggiunto. Non dobbiamo pensare di avere due o tre attaccanti che risolvono le partite, ma una vera squadra unita e compatta».

Ma almeno Cerri e Di Carmine la ringrazian­o quando li manda in gol?

«Sono io che ringrazio loro se fanno i gol, se riesco a fare un assist vincente la soddisfazi­one è doppia».

Su rigore si è già sbloccato. Le punizioni le sa ancora tirare?

«Non sono arrugginit­o, tranquillo... Non mi è ancora capitata quella giusta, me la tengo per una partita difficile».

Dove le piacerebbe chiudere la carriera?

«Il calcio è strano, possono succedere tante cose... Ho sempre detto Livorno, mi hanno cercato anche quest’anno, non so. Non mi aspetto niente da nessuno, l’età mi ha insegnato ad andare avanti con rispetto di tutti. E ho ancora tante cose da dare, più che da dire».

NON HO RIMPIANTI MA SAREI DOVUTO RESTARE AL WEST HAM PIÙ A LUNGO

ALESSANDRO DIAMANTI 34 ANNI

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