La Gazzetta dello Sport

Infinito Seppi: «L’età è solo un numero»

●A 34 anni è pronto per la sfida alla Francia: «Arrivo fresco all’appuntamen­to più bello. Guai cambiare»

- Federica Cocchi INVIATA A GENOVA

Il sorteggio gli ha regalato subito il match più tosto, ma lui con i suoi 34 anni e la calma che lo contraddis­tingue non si scompone. Andreas Seppi avrà il compito di aprire il programma della prima giornata di Coppa Davis tra Italia e Francia, quarto di finale che proietterà la squadra vincente alla semifinale contro una tra Germania e Spagna. Si ritroverà di fronte Lucas Pouille, numero 11 del mondo e numero uno del team di Noah, mentre il secondo singolare della prima giornata sarà poi giocato da Fabio Fognini e Jeremy Chardy.

BUONA PARTENZA L’altoatesin­o ha avuto un bell’inizio di stagione con gli ottavi agli Australian Open e la semifinale a Rotterdam dove è stato battuto da un Roger Federer freschissi­mo di numero uno al mondo. Dopo le fatiche olandesi però gli è servito un bel pit stop: «Avevo già programmat­o di fermarmi dopo Rotterdam per fare una infiltrazi­one all’anca che mi costringe a uno stop ogni sei mesi. Poi ho ripreso pian piano e così sono fresco per la Davis che è un appuntamen­to a cui tutti noi teniamo moltissimo». Sui rivali francesi, attuali possessori dell’Insalatier­a, non si espone più di tanto: «E’ vero che non c’è Tsonga - spiega ma Pouille è alle soglie della top ten, sta bene ed è il loro numero 1. Anche Chardy quest’anno è partito forte. Alla fine credo sia una sfida alla pari, bisogna tenerli molto d’occhio e stare concentrat­i». Dalla sua l’Italia avrà il tifo di Genova, dove da oggi al Tennis Valletta Cambiaso si prevede il tutto esaurito. «E’ il bello di questa manifestaz­ione prosegue il veterano Andreas -, che ci permette una volta ogni tanto di giocare in squadra con la maglia del nostro paese. E’ bello fare gruppo, stare tutti insieme per qualche giorno prima di tornare al solito tran tran». E per questo anche secondo Andreas la Davis non dovrebbe cambiare, o almeno dovrebbe farlo il meno possibile: «Giocare in una sede unica secondo me farebbe perdere alla Coppa il fascino e il calore del tifo per la squadra - continua -, con nuove regole la manifestaz­ione sarebbe di certo meno affascinan­te. Magari si potrebbe giocare invece che tutti gli anni ogni due anni, per rendere la cosa più speciale». Molto netto sull’argomento il capitano Barazzutti: «La Davis va molto bene così da 100 anni, cambiare significa ammazzarla. Sarebbe come modificare un torneo del Grande Slam e farlo giocare in una settimana due set su tre», e a chi dice che i cambiament­i favorirebb­ero la partecipaz­ione dei top players il capitano risponde netto: «Questa settimana tutti i campioni giocano e tutti i grandi campioni l’hanno sempre giocata. La Davis è speciale, è diversa. Chi la gioca è speciale, perché non è facile stare in campo per giocare tre set su cinque per tre giorni di fila».

LE CONDIZIONI «Dopo Rotterdam mi sono fermato per un’infiltrazi­one all’anca che mi costringe a uno stop ogni sei mesi»

NON C’È TSONGA MA ALLA FINE È UNA SFIDA ALLA PARI

GIOCARE LA COPPA IN SEDE UNICA FAREBBE PERDERE FASCINO E TIFO

FUTURO Il futuro della Davis è incerto e lontano mentre Seppi, arrivato a 34 anni, ha ancora voglia di guardare avanti: «Come dice Federer, l’età è solo un numero. In un certo senso è vero, ma quando passano gli anni bisogna programmar­si attentamen­te, vivere stagione per stagione. Se questa andrà bene allora penserò di andare avanti anche la prossima, altrimenti si vedrà». Dalla sua ha la fortuna di avere una moglie che lo sostiene e che farà il tifo per lui in questi giorni, e un coach come Max Sartori con cui da anni ha un rapporto che va oltre il semplice aspetto tecnico: «Lui è stato ed è molto importante per la mia carriera, una persona che mi conosce molto bene e con cui faccio tante cose, non soltanto in campo. C’è molta sintonia, mi sono sempre trovato a mio agio». Ma difficilme­nte lo seguirà in Colorado, a Boulder dove Andreas e Micaela hanno preso una grande casa: «Per ora penso ancora a giocare, ma lì ci piace molto, ci sono le montagne che ricordano l’Alto Adige, ho fatto la preparazio­ne in College e sono molto organizzat­i. In futuro si vedrà, non è certo un posto dalla vocazione tennistica ma tanto non ho più 20 anni...». No quelli, più o meno, ce li ha Matteo Berrettini, per la prima volta convocato in Davis e a cui sarà riservato qualche «scherzetto» di iniziazion­e: «Una volta agli esordienti facevamo fare il discorso alla cena ufficiale, ma adesso la cena non c’è più... dovremo inventarci qualcosa di nuovo». Attenzione ai veterani.

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