La Gazzetta dello Sport

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IL GRANDE MIGUEL, RE NEL 1992 E 1993, È ENTRATO NELLA HALL OF FAME DELLA CORSA ROSA: «NIENTE ARRIVA GRATIS. IL RACCOLTO D’ESTATE SI FA IN INVERNO»

- MILANO twitter@cirogazzet­ta IL RACCONTO di CIRO SCOGNAMIGL­IO

«GRAZIE GIRO GRAZIE ITALIA IL CICLISMO MI HA FATTO DIVENTARE CHI VOLEVO»

NIBALI È IL PIÙ COMPLETO, SANREMO UN CAPOLAVORO. LUI E ARU COME BUGNO E CHIAPPUCCI

INDURAIN SUL CICLISMO ITALIANO

IL SUO MANIFESTO È OPERA DI RIK GUASCO

L’applauso del Teatro Gerolamo, una deliziosa bomboniera che a Milano è conosciuta come la «Piccola Scala», nasce spontaneam­ente. E non accenna a fermarsi. Le sei della sera sono passate da tre minuti quando Miguel Indurain entra nella Hall of Fame del Giro d’Italia. «È grazie al ciclismo, e quindi anche grazie al Giro, che sono diventato l’uomo che volevo», dice «Miguelon». Accompagna­to dalla moglie Marisa e dalla terzogenit­a Ana, è sempre lo stesso: tranquillo, elegante, carismatic­o. Quando vinse i suoi due Giri — 1992 e 1993 — il Trofeo Senza Fine non c’era e sul palco gliene consegnano uno dedicato a lui: «Pesa tanto. Bellissimo. Dopo 25 anni, sono ancora l’ultimo ad avere vinto per due edizioni di fila. Fu molto difficile».

CLUB Il grande navarro — suoi cinque Tour de France di fila e l’oro olimpico della crono ad Atlanta 1996 — entra in un club selezionat­issimo: prima di lui, nella Hall of Fame della corsa Gazzetta avevano fatto il loro ingresso Eddy Merckx, Felice Gimondi, Stephen Roche, Francesco Moser, Ercole Baldini e Bernard Hinault. Non è mai stato uno di troppe parole, eppure quando tutto sta per finire, dopo avere ripercorso la carriera con il vicedirett­ore della Gazzetta, Pier Bergonzi, Miguel ci tiene a parlare ancora: «Grazie, è un onore. Il Giro è stata la mia passione, è una delle corse più importanti per il ciclismo e mi auguro continui ad esserlo, grazie ai vostri sforzi, all’infinito».

PAROLE «Premiare Miguel lo considero un dono del destino», dice, emozionato, il direttore della Gazzetta Andrea Monti. «Io lo ricordo anche finire tra gli ultimi una TirrenoAdr­iatico — racconta Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia —. Di lui amo la sua consapevol­ezza di essere campione senza mai ostentarlo. Solo i grandissim­i ci riescono». E in prima fila c’è anche Claudio Chiappucci, uno dei rivali storici del navarro: «Ho cominciato a conoscerlo davvero al Tour 1991, eravamo insieme nella fuga della tappa di Val Louron. Io vinsi, lui secondo. E non ci siamo mai parlati: io non parlavo spagnolo, e lui non parlava italiano. In quel giorno forse non avevo capito fino in fondo quanto fosse forte… Siamo sempre andati d’accordo e quando ci vediamo è sempre un piacere», spiega El Diablo mentre Indurain ricorda la lezione indimentic­abile del padre: «Niente arriva gratis, tutto si conquista con il lavoro. Quello che semini d’inverno, raccogli d’estate. Non basta faticare solo l’ultima settimana, bisogna farlo sempre. Vengo da una famiglia contadina e sto insegnando gli stessi valori ai figli». Poi, due aneddoti divertenti. Il primo: «All’inizio della carriera, dicevano che assomiglia­ssi a Moser. Che potessi diventare un uomo da classiche, anche se si disputavan­o di solito in mesi freddi e piovosi, e la cosa non mi piaceva. Bene, alla prima e unica Roubaix che ho fatto, mi dicono al via che non devo perdere la ruota di Moser. Ma al primo tratto di pavé, è sparito e non l’ho più visto». Il secondo: «In una crono al Tour, che vinsi, arrivò ultimo mio fratello Prudencio (pure lui pro’ per qualche anno, ndr). Non finì fuori tempo massimo solo perché io avevo forato». Fino alla scelta di debuttare al Giro: «I percorsi mi si addicevano, bisognava solo adattarsi alla maniera di correre dei team di casa vostra. E l’Italia era il centro del ciclismo».

RICORDI Non c’è sorpresa quando Miguel sceglie tra le immagini-simbolo le due apoteosi a Milano e la crono finale del 1992 verso il capoluogo lombardo, quando raggiunse e superò Chiappucci che partiva tre minuti prima di lui. Ma ti

spiazza quando ci tiene a sottolinea­re che nella memoria gli è rimasta soprattutt­o la MeranoApri­ca del 1994, quando Marco Pantani lo fece dannare sul Mortirolo, una montagna che a uno come Indurain non poteva che risultare indigesta: «Sì, ricordo quel giorno perché poteva succedere di tutto, potevo vincere il Giro o perderlo. Mi andò male, ma in poche ore era concentrat­a tutta l’essenza del ciclismo in quella tappa». Sono stati tanti i rivali italiani del grande navarro: da Bugno a Chiappucci, da Fondriest a Pantani: «Bugno aveva classe e fisico. Il punto debole talvolta era la testa. Se le cose andavano bene, si esaltava, altrimenti si scoraggiav­a. Chiappucci era imprevedib­ile e complicato da gestire tatticamen­te per la mia squadra. Faceva impazzire i miei compagni, toccava a loro andarlo a riprendere. Di Fondriest apprezzavo la furbizia, la scaltrezza. Quando a Pantani… ne sentivo parlare di un po’. Stava arrivando uno scalatore molto forte, si diceva. Ed era fortissimo, sì. Amato dal pubblico per il modo in cui correva. Emozionava. Non parlavamo molto. Marco era riservato. Quello che gli è successo poi… è stato una pena».

ATTUALE Non poteva mancare uno sguardo all’attualità ciclistica: «Oggi conta solo chi vince e sui corridori c’è troppo stress. Ai miei tempi chi si piazzava nei primi cinque era più valorizzat­o. Nibali è il più completo di tutti adesso e la Sanremo è stata il suo capolavoro. Alla Liegi sarà tra i favoriti assieme a Valverde e Alaphilipp­e. Ecco, Nibali e Aru oggi mi ricordano i Moser e i Saronni o i Bugno e i Chiappucci dei miei tempi. Avere atleti così bravi fa bene al ciclismo. Dumoulin è quello che mi assomiglia di più per caratteris­tiche. Froome (si riferisce al caso salbutamol­o, ndr)? Non sta rompendo le regole, ha il diritto di correre».

ATLETICA Alla mattina, c’era stato il tempo per visita e chiacchier­e in libertà a casa Gazzetta. «Lo sapete, io ho cominciato con il calcio. Ma ero anarchico. L’allenatore mi metteva in difesa e io mi muovevo per tutto il campo. E poi l’atletica. Praticavo varie specialità, anche il salto con l’asta e gli ostacoli. Ma alla fine si trattava di girare in una pista, non mi piaceva. Il ciclismo all’inizio era una specie di gioco. Di passatempo. L’ho scelto perché mi dava un senso di libertà, con la bici potevo muovermi e scoprire posti nuovi». Il grande Miguel si racconta mentre arrivano Maurizio

TRA MAURO VEGNI, DIRETTORE DEL GIRO, E ANDREA MONTI, DIRETTORE GAZZETTA

Fondriest (poi presente anche in Teatro) e Davide Cassani. Con il c.t. azzurro c’è l’occasione di ricordare quella che deve essere stata la prima gara di Indurain in Italia: «Una Premondial­e a Marostica, nel 1985. Ero stato tutto il giorno in fuga. All’inizio correvo proprio così, sempre all’attacco, poi ho capito che per le mie caratteris­tiche non sarebbe stata la tattica giusta…». L’atmosfera è rilassata. «In bici ci vado ancora, ma non conto i chilometri. Semmai sto attento che non si alzi troppo la frequenza cardiaca. Partecipo a eventi come testimonia­l del Banco Santander e alla mia ciclosport­iva, il 21 luglio, ci saranno 2.500 persone. Non ho cambiato le abitudini, vivo sempre a Pamplona con la mia famiglia».

CASA MIGUEL La moglie Marisa è la signora della casa. Il primogenit­o Miguel, 22 anni, ha provato la strada del profession­ismo, ora va forte con le bici a scatto fisso come Ignazio, il figlio di Moser. «Il cognome Indurain poteva essere un peso, ma è anche vero che ti può aprire molte porte. Però non era la sua strada». Jon, il secondo, ha 19 anni e gioca a pallamano mentre Ana, 16, fa un po’ di basket: ma è difficile immaginare che diventino sportivi profession­isti. «Studiano, vanno in giro per l’Europa, fanno una vita normale come quella di tanti coetanei. Figli piccoli significa problemi piccoli, figli grandi significa problemi grandi…».

ESPERIENZA Il discorso si allarga all’extra Giro. Al record dell’ora di 53,040 km a Bordeaux il 2 settembre 1994: «Avrei potuto fare di più». E ai Mondiali: Stoccarda 1991 (terzo), Oslo 1993 (quando battè uno sprinter come Ludwig in volata, ma Armstrong aveva già vinto) e Duitama 1995 («Mi ero allenato in altura per un mese e mezzo, duramente come mai prima»): Indurain vinse l’oro a crono e Fondriest ricorda che «partiva tre minuti dopo di me, avevo pensato che se mi avesse raggiunto e l’avessi tenuto come punto di riferiment­o, avrei potuto sperare nel podio. Ma avevo un problema muscolare. non ce la feci». In linea, Indurain fu argento: «Forai in un momento chiave. Rientrai, ma in quel momento attaccò Olano e non potevo muovermi, dissi a Pantani (terzo, ndr) di tirare lui». Un rimpianto, ma non troppo: «Sono riuscito a fare del ciclismo, la mia passione, un lavoro. È uno dei segreti della felicità».

DICEVANO CHE ASSOMIGLIA­SSI A MOSER, CHE FOSSI UOMO DA CLASSICHE ALLA ROUBAIX DOVEVO STARGLI INCOLLATO. MA AL PRIMO PAVÉ L’HO PERSO

MIGUEL INDURAIN

I MIEI ANNI IN BICI ME LI HA FATTI RADDOPPIAR­E PER QUANTO È STATA DURA CONTRO DI LUI

CLAUDIO CHIAPPUCCI SU INDURAIN

2° AL GIRO 1991-1992, 3° NEL 1993 (FOTO IPP)

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 ??  ?? TRE CONTRO UNO, PER BATTERE LA SPAGNA... In Gazzetta, sala Cannavò, a calciobali­lla: si mettono insieme il c.t. Davide Cassani, Maurizio Fondriest e Stefano Allocchio (oggi direttore di corsa del Giro) per battere Miguel Indurain. E cercare di fare...
TRE CONTRO UNO, PER BATTERE LA SPAGNA... In Gazzetta, sala Cannavò, a calciobali­lla: si mettono insieme il c.t. Davide Cassani, Maurizio Fondriest e Stefano Allocchio (oggi direttore di corsa del Giro) per battere Miguel Indurain. E cercare di fare...
 ??  ?? 4 TAPPE 29 VOLTE IN ROSA Miguel Indurain trionfa nel Giro 1993. Nato a Villava il 16 luglio 1964, vanta anche cinque Tour di fila (1991-1995), e due allori di prestigio a cronometro: il Mondiale 1995 e l’oro olimpico 1996. Al Giro ha vinto 4 tappe...
4 TAPPE 29 VOLTE IN ROSA Miguel Indurain trionfa nel Giro 1993. Nato a Villava il 16 luglio 1964, vanta anche cinque Tour di fila (1991-1995), e due allori di prestigio a cronometro: il Mondiale 1995 e l’oro olimpico 1996. Al Giro ha vinto 4 tappe...
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TROFEO SENZA FINE Miguel Indurain, 53 anni, guarda ammirato il Trofeo Senza Fine che porta inciso il suo nome: quando vinse i Giri nel 1992 e 1993, non c’era BETTINI
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● 2. Il talkshow, guidato dal vicedirett­ore Pier Bergonzi: da sin. Fondriest, Chiappucci e Indurain
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CON I DIRETTORI DI GIRO E GAZZETTA ● 1. Indurain premiato da Mauro Vegni, direttore del Giro, e Andrea Monti, direttore del nostro giornale ● 2. Il talkshow, guidato dal vicedirett­ore Pier Bergonzi: da sin. Fondriest, Chiappucci e Indurain ● 3....

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