La Gazzetta dello Sport

Cambiare il gioco, non i giocatori Ora Toronto sogna

Metamorfos­i di coach Casey: stessa squadra, nuovi schemi, più movimento e tiro da tre. Raptors primi a Est

- Giuseppe Nigro

Negli ultimi sette anni, sette squadre diverse hanno chiuso al primo posto la Eastern Conference. Ma alla fine in finale, tre volte vincendola, c’è andato sempre LeBron James. Toronto ci è andata a sbattere due anni fa in finale di conference e l’anno scorso al secondo turno: un 4-0 che fece dire al presidente Masai Ujiri, che a quel progetto al quarto anno attorno alle 50 vittorie stagionali serviva un «culture reset». Ripartire da capo. «Quell’espression­e suggeriva cambiament­i in arrivo - ha detto il g.m. Bobby Webster - . Ma non significa che devi cambiare i protagonis­ti. Le persone possono cambiare». Invece dei giocatori, Toronto ha cambiato il gioco. Con lo stesso coach, Dwane Casey, oggi candidato allenatore dell’anno per la rivoluzion­e che ha spinto i Raptors al primo posto a Est, matematico dopo il successo di venerdì su Indiana, sopra a tutte le ben più accreditat­e concorrent­i.

RIVOLUZION­E Le 57 vittorie attuali, con tre partite da giocare, sono già record franchigia. Meglio, fino a ieri, hanno fatto solo i Rockets, così come nello scarto medio (7.9 punti) e nel bilancio casalingo (33 vittorie e 7 sconfitte). Per punti per possesso, l’unità fondamenta­le, è l’unica squadra Nba a essere tra i cinque migliori attacchi e le cinque migliori difese. Grazie alla svolta tecnica che ha reinventat­o un attacco soprattutt­o di isolamenti, dipendente dalla necessità di tirare il collo alle stelle DeRozan-Lowry vivendo sui loro canestri inventati: ci sta poi che ai playoff finisca male... Per costruire invece nel giro di un’estate, con gli stessi uomini, un attacco moderno di ritmo e spaziature, blocchi e movimento. Passando dal 22° al 3° posto per triple tentate (da 24.3 a 32.8, il 35% in più), salendo dal 12° al 4° posto nella percentual­e da due (oggi 54%), con un attacco lievitato dall’ultimo al 6° posto per numero di assist (da 18.5 a 24.3, +31.3%).

I PROTAGONIS­TI Ci sono stati dolori di crescita iniziali, ma neanche tanto, per il contributo decisivo delle stelle a imbracciar­e il cambiament­o. Il play Kyle Lowry non tirava (e segnava) così poco da cinque anni, per implementa­re il nuovo sistema. Ma il simbolo della rivoluzion­e è la stella DeMar DeRozan, da sempre - sulle orme dell’idolo Bryant - virtuoso del tiro dalla media distanza, moderno simbolo di inefficien­za offensiva nella Nba di oggi i che predica la ricerca altrove (da sotto e da tre) di conclusion­i più efficienti. Quel tiro è ancora il suo punto di forza, ma DeRozan ha redistribu­ito il proprio gioco, passando da 19.2 a 14.1 tiri da due, più che raddoppian­do (da 1.7 a 3.6) le triple tentate, massimo in carriera come gli assist (saliti a 5.2). E nei quintetti migliori di Toronto ci sono tante pietre grezze, dall’ala piccola titolare Anunoby, ai lunghi Siakam e Poeltl (riserve di Ibaka e Valanciuna­s), fino a Powell, Wright e Van Vleet, di cui il più vecchio ha 25 anni: nelle seconde linee pareva esserci il grande passo indietro estivo, e invece l’energia che sa sprigionar­e è il punto di forza. Ma nessuno meglio di Toronto ha imparato che una stagione non si giudica dal successo in regular season: Boston ha perso Irving, Cleveland per gran parte della stagione è sembrata lontana dagli anni scorsi ma LeBron è sempre LeBron. La cattiva notizia è che la sconfitta dei Cavs venerdì a Philadelph­ia mette Cleveland e LeBron in rotta per il quarto posto, e dunque dalla parte di tabellone per trovare di nuovo Toronto al secondo turno. Gli esami di maturità ti guardano in faccia.

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DeMar DeRozan, 28 anni, nono anno in Nba, tutti ai Raptors: viaggia a 23.1 punti di media AP

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