La Gazzetta dello Sport

Una sfida lunga 34 anni

Errori, beffe e l’Olimpico si fece... Red

- Davide Stoppini ROMA

●Nel 1984 il match che segnò un confine. Graziani: «Con la Var avremmo vinto». Rush: «Decisivo Grobbelaar»

Non è una rivincita, guai a chi si azzarda a chiamarla così: sarebbe come venire a Roma, dare un’occhiata al Colosseo e pensare di aver capito la città. No, non avete capito niente. Perché quella lì, quella partita che un tifoso della Roma fa persino fatica a pronunciar­e – «Roma e Liverpool non hanno mai giocato», diceva Chicco Lazzaretti in un memorabile episodio de I ragazzi della 3a C – ha segnato in maniera indelebile un bel po’ di generazion­i. Maggio è maggio pure oggi, certo. Coppa Campioni e Champions League facciamo pure finta che siano la stessa cosa, ok. Ma 34 anni fa è stato il confine mai superato, questo incrocio è al massimo – per carità, un massimo ambito e assai insperato – un appuntamen­to in Questura per fare una tardiva denuncia danni, non sia mai ritrovino la refurtiva.

CONDIZIONA­MENTI Trentaquat­tro anni fa è il destino che si mette di traverso e scrive un ultimo capitolo senza senso, contro natura: la Roma che perde la finale di Coppa Campioni contro il Liverpool. Non è finita: la perde all’Olimpico, in casa. Non è finita ancora: la perde ai rigori. Quella sera, quel 30 maggio 1984, è partito il mondo parallelo del tifoso romanista. Il «mai ‘na gioia», per capirsi, è diventa- to materia di dominio pubblico più avanti nel tempo ma in realtà è nato quel giorno lì. È nato quello strano rapporto con la maglia bianca, tanto amata eppure come fai a dimenticar­e che la indossavi quella sera, in trasferta a casa tua. È iniziato l’eterno terrore dei rigori: chiedete a qualsiasi tifoso della Roma se riesce a immaginars­i vincente dopo una serie dal dischetto. Roma-Liverpool è l’antipatia per ogni genere di ritrovo con i maxischerm­i, ripensando a quella notte in cui ne era stato allestito uno al Circo Massimo con tanto di concerto di Antonello Venditti a seguire, che poi iniziò a cantare col cuore in gola «Grazie Roma». «È il momento sportivo più alto raggiunto dalla Roma nella sua storia, ma è stata anche la mia prima grande delusione da tifoso», ha raccontato ieri il direttore generale gialloross­o Mauro Baldisso- ni. E James Pallotta, in una delle dichiarazi­oni più romaniste di sempre, ha aggiunto: «Non sarà una vendetta del 1984».

ERRORI Quella Roma era al termine di un ciclo che l’aveva portata a vincere due coppe Italia (sarebbero diventate tre a giugno) e un campionato. Quella Roma s’era allungata fino al 30 maggio dopo che Nils Liedholm, l’allenatore dell’epoca, aveva deciso di portare tutti in ritiro in Trentino, a Cavalese (il campionato era finito il 13 maggio), per stemperare la tensione della città. Il Barone, stratega divino, non poteva sapere che avrebbe ottenuto l’effetto contrario. Il Liverpool scese in campo più scarico mentalment­e, nell’accezione più positiva del termine. La Roma – già priva di Maldera squalifica­to e con Ancelotti infortunat­o ormai dal dicembre precedente – perse per strada causa dissenteri­a pure Pruzzo, che almeno aveva fatto in tempo a pareggiare di testa l’iniziale vantaggio di Phil Neal. L’epilogo fu drammatico, scritto da rigori beffardi: la Roma andò avanti nella serie, poi gli errori di Bruno Conti e Ciccio Graziani scrissero un’altra storia. Di quella sera resta il balletto provocator­io di Bruce David Grobbelaar, portiere del Liverpool. E il rigore non calciato da Paulo Roberto Falcao, di cui s’è detto di tutto: «Quando scegliemmo i rigoristi, lui disse di non esserlo – racconta oggi Graziani –. Ma in alcuni momenti, pure se non sei uno specialist­a, devi prenderti la responsabi­lità». Falcao provò a chiarire: «Non tirai perché stavo male ed era finito l’effetto dell’antidolori­fico».

SÌ O NO? Antidolori­fico non esiste, per la sconfitta tutta. Luca Di Bartolomei, figlio dell’Agostino che decise di dire basta con tutto esattament­e 10 anni dopo quella finale, ieri ha twittato: «Non voglio parlare. Credo che anche Ago preferireb­be silenzio e concentraz­ione. Per una volta lasciamo che a Roma il passato sia terra straniera. Pensiamo solo al futuro, daje». Pruzzo era stato chiaro anche prima del sorteggio: «Il Liverpool non voglio neppure vederlo». Graziani è positivo: «La Roma ha preso la squadra più abbordabil­e. Volevo i Reds perché c’è di mezzo una vendetta, quella partita con la Var l’avremmo vinto, perché il gol loro era da annullare per un fallo su Tancredi. Il rigore? Ero molto stanco, Di Bartolomei mi disse: “Fai come me, tira una botta forte”. Io non ero abituato a calciare in quel modo e sbagliai, dietro la porta c’erano un sacco di fotografi con flash fastidiosi­ssimi». Ubaldo Righetti, infine: «A quella finale non voglio pensare. Avrei evitato il Liverpool per le sue caratteris­tiche, non per i ricordi. Voglio vivere l’avviciname­nto in maniera distaccata». Di sicuro sarà più facile per Ian Rush, centravant­i di quel Liverpool: «Dopo il primo rigore sbagliato pensammo che il destino aveva scelto la Roma. E invece fu decisivo Grobbelaar, con quell’oscena manfrina sulla linea di porta». Ecco: come lo immagini il Diavolo? Ecco: con quelle gambe tremolanti.

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● 1 La Curva Sud dell’Olimpico, «casa» dei tifosi romanisti, prima della finale di Coppa Campioni ● 2 La Roma, allenata da Liedholm, che iniziò la finale, in piedi da sinistra: Cerezo, Falcao, Righetti, Di Bartolomei, Graziani, Tancredi; sotto da...
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IPP Bruce Grobbelaar e Phil Neal con la Coppa vinta dopo i rigori
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