La Gazzetta dello Sport

Amauri da Miami «Gara da Chievo Con Pellissier»

●«Con Sergio mi sento ancora. Adesso seguo mio figlio, potrei fare l’allenatore»

- Simone Lo Giudice

Quando Amauri arrivò al Chievo, l’arte del volo per gli asinelli gialloblù era già una piacevole abitudine. «Era il 2003-04, la squadra giocava in A da due stagioni e io arrivavo dalla B. In panchina c’era Gigi Delneri: avevo un bel rapporto con lui». Lavoro sodo e sana ambizione che, insieme alle sentenze di Calciopoli, spinsero i «mussi» fino ai preliminar­i di Champions 2006-07. «Coronammo il nostro più grande sogno». Che mesi dopo però si sarebbe trasformat­o nell’incubo della B, tornata a spaventare oggi la squadra di Rolando Maran. Al Bentegodi arriva il Torino, l’ultima italiana con cui Amauri ha giocato prima di volare negli Stati Uniti, dove ha chiuso la carriera da calciatore.

Lei ha vissuto tre stagioni al Chievo: la più importante?

«La terza. Nel 2004-05 ci eravamo salvati a fatica, l’anno dopo Giuseppe Pillon fu bravo a rigenerarc­i. Chiudemmo settimi, quarti dopo Calciopoli. Quell’anno segnai 11 gol, il mio record col Chievo in A. Ai preliminar­i di Champions dell’anno dopo fummo eliminati dal Levski Sofia. Sono orgoglioso della doppietta che segnai nella partita di ritorno a Verona, sono stato il primo marcatore nella storia del club in Europa».

Lei si trasferì al Palermo nel 2006-07, la stagione in cui il Chievo retrocesse: se lo aspettava?

«No, fu una sorpresa. Prima di giocare i preliminar­i avevamo perso una pedina importante come Fontana. Poi andai via anche io, ma la squadra non retrocesse per questo motivo. La Champions e il preliminar­e di Coppa Uefa contro il Braga avevano portato via molte energie alla squadra. Il Chievo iniziò male la stagione e non riuscì a raddrizzar­la».

Uno con l’esperienza di Pellissier può dare una mano in un momento così difficile?

«Io e Sergio ci sentiamo spesso e ogni tanto parliamo del Chievo: lui ha tanta esperienza e sa come tirare fuori la squadra da questa situazione».

È un periodo duro anche per il presidente Campedelli: che ricordo ha di lui?

«Sentiva molto tutte la partite: al fischio finale arrivava sfinito. Quando entravamo negli spogliatoi, il presidente c’era già, sdraiato sul lettino più stanco di noi».

Oggi il Chievo sfida il Torino, con cui lei ha giocato prima di lasciare l’Italia…

«Scelsi di andarci per riscattarm­i: avevo ancora dentro tutto quello che era successo con la Juve. Torino è una città che mi ha fatto del bene e del male. Mi stuzzicava l’idea di poter giocare l’Europa League. Ventura mi volle, anche se al primo anno giocai meno del previsto e nel secondo feci da chioccia ai più giovani. Belotti ascoltava i miei consigli. Gli dissi di essere più cattivo sotto porta e i risultati si vedono. Mazzarri è l’uomo giusto per rilanciare il Toro. Sento spesso Cristian Molinaro: abbiamo giocato insieme anche alla Juve e al Parma. Lo aspetto negli Stati Uniti…»

Un pronostico per la sfida del Bentegodi?

«Il Toro proverà a dare continuità agli ultimi risultati. Il Chievo ci arriva con più ansia, ma deve fare punti: può essere la sua partita. Oltre alle sfide con Roma e Inter, affronterà Bologna e Benevento, che non hanno molto da chiedere al campionato. Saranno decisivi gli scontri con Spal e Crotone».

Il suo futuro? Farà il tecnico?

«Qualche anno fa avrei detto di no, però sto cambiando idea. Ora sono a Miami e seguo mio figlio che gioca. In futuro chissà…».

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