«ROMARIO E MESSI TRIPLETE E LACRIME È STATO UN SOGNO»
Sabato sera a Rio de Janeiro, mezzanotte a Milano. Seconda giornata del Brasileirão, la prima in casa del Flamengo, contro l’America Mineiro: il Maracanã si alzerà in piedi e Julio Cesar si siederà un’altra volta sulle ginocchia, come ha sempre fatto per schiacciare un’emozione, prima di chiudere l’ultima porta di una carriera lunga vent’anni abbondanti: «L’ultima partita, sì: sarà meraviglioso, ma finisce un pezzo della mia vita». E un altro pezzo dell’Inter del Triplete dice addio al calcio.
A Milano la chiamarono acchiappasogni: si sta per prendere il più bello?
«Bello come questi venti anni: più di un sogno. Mai, neanche quando da ragazzino fantasticavo, avrei potuto immaginare una carriera così».
E la festa di sabato come la immagina?
«Un omaggio: non a me, ma a chi ha permesso che succedesse tutto questo. Il Flamengo, i suoi tifosi: mi hanno preso che ero un bambino e mi hanno accompagnato finché sono diventato un uomo, pronto per il calcio europeo. Sarò io che ringrazierò loro».
Piangerà, vero?
«Come sanno bene i tifosi dell’Inter, me ne frego delle telecamere e non mi sono mai vergognato di farlo: se mi verrà voglia piangerò, quindi credo proprio di sì».
Firmò con il Flamengo e promise: mi godrò ogni secondo di questi tre mesi.
«E me li sono goduti anche più di quello che immaginavo. Mi sono rivisto ragazzino del Flamengo, a 38 anni me ne sono sentiti addosso 17 come loro. Come Vinicius, che qualche tempo fa mi ha fatto stringere il cuore. Mi ha detto: “Ho chiesto di restare al Flamengo fino al termine di questa stagione anche perché qui ci sei tu, per imparare qualcos’altro da te”».
Apriamo parentesi: è tanto forte Vinicius, vero?
«Ha qualcosa di speciale e fa cose da fenomeno. Ma è tanto giovane, diamogli tempo».
Chiusa parentesi. Quando lei disse sì al Flamengo, sua moglie Susana pianse: «Gli uomini sono egoisti». Perdonato?
«Certo che sì: era solo triste perché saremmo stati lontani. Arriva giovedì assieme ai ragazzi: Cauet e Giulia. Mi dica lei come farò a non piangere».
Ha già deciso cosa farà dopo aver smesso?
«È possibile che rimanga nel calcio, ma non so “come”: è presto per parlare di futuro».
E allora parliamo del passato: riesce a dire qual è stata la parata più bella della sua carriera?
«Dite tutti quella su Messi nella semifinale di Champions a Barcellona e forse avete ragione voi. In quella partita, in quel momento, contro quell’avversario: una delle prime cose che insegnano a noi portieri è che una parata è bella solo se è importante. Quella fu importantissima».
L’attaccante più forte che ha affrontato?
«Romario. Inventava e non c’era rimedio: non sapevi mai come si sarebbe mosso, come avrebbe tirato».
La persona più importante?
«Flavio Tenius, l’allenatore dei portieri del settore giovanile del Flamengo: mi portò in prima squadra a 17 anni, fu il primo a credere in me».
L’emozione più grande?
«Non mi faccia sforzare: posso dirne tre?».
Certo che può.
«La prima, Campeonato Carioca 2001, Flamengo-Vasco: dovevamo vincere con due gol di
RINGRAZIERÒ IO IL FLAMENGO, NON LORO ME: GLI DEVO QUEL CHE SONO JULIO CESAR SULLA SUA ULTIMA SQUADRA
scarto, Dejan Petkovic segnò il 3-1 su punizione a due minuti dalla fine. La seconda è ovviamente Madrid, la Champions: di sicuro il punto più alto della mia carriera. La terza, Mondiale 2014: i due rigori parati contro il Cile negli ottavi di finale».
E il momento più difficile è facile da dire, arrivò dieci giorni più tardi: Brasile-Germania 1-7. Ha sempre fatto fatica a parlare di quella partita.
«Perché faticai a capire cosa successe, ancora oggi non lo so bene. La Germania conosceva i nostri punti deboli, ma noi glieli mostrammo come un libro aperto. Giocammo male male male».
Chiuda gli occhi: cosa ricorda di quella notte?
«Ero in campo e pensavo: “Dai Julio, è solo un incubo: adesso ti svegli”. E poi Thiago Silva nell’intervallo: era già 5-0, provava a scuoterci. Ma in quello spogliatoio c’era un silenzio irreale, in realtà non stava parlando nessuno. Il calcio è così, è come la vita: non ti abbraccia sempre e a volte ti fa affrontare, anzi ti impone, cose inimmaginabili. È lì che devi dimostrare di essere una persona forte dentro».
Qualcosa del genere è appena successo a Buffon.
●IL PORTIERE CHE HA VINTO TUTTO CON L’INTER SABATO DICE ADDIO AL CALCIO: «VORREI TORNARE A MILANO PER VEDERE I NERAZZURRI IN CHAMPIONS: PRESTO, SPERO»
«Quel rigore lo puoi dare o non dare, ma se sei l’arbitro ad un certo punto puoi anche girarti dall’altra parte e non espellere Buffon. Detto questo: è stato Gigi a riconoscere che poteva esprimere gli stessi concetti in un altro modo. Ma quando hai tanta adrenalina in circolo, dici