Intervista a Gino Pozzo «Udinese, adesso basta»
IL FIGLIO DI GIANPAOLO A MUSO DURO NELLO SPOGLIATOIO FRIULANO: «FA SOFFRIRE VEDERE LA SQUADRA COSÌ, MA QUESTO CLUB È LA NOSTRA VITA, QUI NESSUNO SE NE VA»
Gino Pozzo parla pochissimo, vive a Londra, sembra apparentemente freddo e distaccato, imprenditore e calcolatore. Ma un cuore ce l’ha e tiene a precisarlo a tutti quelli che amano l’Udinese e da settimane, tra social e stadio, alla luce di una classifica diventata preoccupante a seguito di 10 sconfitte consecutive, gli chiedono di spendere o di andarsene. «Io e la mia famiglia non abbiamo mai pensato di andare via dall’Udinese, non esiste la possibilità di mollare. Siamo dispiaciuti e mi fa soffrire non vedere la squadra vincere. Il 6 gennaio parlavamo di Europa, adesso lottiamo per salvarci. Tutto con la stessa squadra». Se Gino Pozzo ha deciso di sbarcare da Londra dove l’altra sua proprietà, il Watford, lo fa dormire più tranquillo (è 12° in Premier), vuol dire che qualche problema c’è. Se ha deciso di farsi intervistare, cosa che non ama, è per ribadire il suo senso di appartenenza al club che la sua famiglia possiede dal 1986. E lo dice chiaro in una lunga chiacchierata in cui l’argomento è l’Udinese.
Gino Pozzo, che succede? Qui reclamano un suo intervento. Dicono che lei non c’è mai.
«La mia non presenza non può essere una sorpresa. E’ così da 25 anni. Non è accettabile dire che la proprietà non ha un progetto. Siamo qui da più di 30 anni e questo club è stato il sogno della nostra vita. Non siamo di passaggio. Anche se sto a Londra e faccio più di 300 ore di aereo l’anno la passione è intatta. I risultati non soddisfacenti non possono essere legati a questo. In società lavorano 45 persone e c’è mio padre, figura di raccordo e di garanzia. Siamo una famiglia che collabora. Io sono riservato, non ho profili social, non cerco il consenso. Ho preferito valorizzare il lavoro dei collaboratori che ci hanno portato grandi calciatori e successi».
Però le cose ora vanno male...
«Infatti sono venuto qui. E forse è tardi, dovevo arrivare prima. L’obiettivo è la permanenza in A. Siamo tifosi. E ci fa strano che questa squadra sia passata dal settimo posto a questa situazione. Il tifoso vero capisce, poi quando le cose vanno male cori e striscioni appaiono».
Cosa è successo?
«Un’idea ce la siamo fatta, ma riparlerò con lei a maggio. Promesso. La squadra non è povera di talento. Abbiamo patito l’infortunio di Lasagna, sono state sottovalutate delle criticità, c’è stato rilassamento. Non c’è un unico colpevole, ma non c’è nessun innocente».
Ha parlato di tante figure in soGino cietà, ma può spiegarci il ruolo di Claudio Vagheggi?
«Lavoro con alcuni agenti che ci hanno permesso di arrivare a certi giocatori. Lui è uno di questi, una figura esterna che ha dato sempre un contributo al club».
La accusano di fare business.
«Se per business si intende una società organizzata per raggiungere buoni risultati allora è business. Cerchiamo di essere attivi, ma il mercato cambia. Ora è quasi impossibile comprare in Francia».
Le rimproverano di non aver mai sostituito Totò Di Natale. Poteva arrivare Quagliarella.
«Le confesso che tre anni fa ci parlammo, ma era impossibile da prendere. Quello del dopoTotò non è un caso banale. Come altri lo prendemmo e non era un big. Abbiamo preso Lasagna. E’ un gran colpo. E abbiamo altri giovani interessanti. L’ultimo è Vizeu».
Dopo Guidolin è mancato un progetto tecnico. Nessun allenatore ha resistito.
«Vero. Non siamo riusciti a trovare continuità, una guida tecnica che sappia lavorare col materiale messo a disposizione. È stato un peccato disperdere certi giocatori. Non mi sono goduto Zielinski. Ma abbiamo dei friulani come Scuffet, Pontisso, Meret. E ripensiamo tutta l’Academy con una forte base territoriale».
A proposito: rivedremo Meret in bianconero?
«Sta facendo un percorso alla Spal per arrivarci».
Pozzo, se la situazione precipita tutti liberi o con voi anche giù? Se si perde domenica col Crotone cambia Oddo?
«Questo non è un albergo dove si va e si viene. Tutto viene condiviso. Ora ci siamo noi e c’è solo domenica. Non c’è una partita dopo questa. Il filotto di dieci sconfitte è finito. E basta. L’ho detto a muso duro in spogliatoio. Siamo sulla barca e dalla barca non scende nessuno».
Come vede il calcio italiano?
«Deve risolvere questioni legate agli impianti, non abbiamo preso un Europeo. Servono le seconde squadre, fondamentali per i giovani. Abbiamo per la tv un interlocutore come Mediapro, ma abbiamo perso l’occasione Tebas, un elemento di spicco».