La Gazzetta dello Sport

Intervista a Gino Pozzo «Udinese, adesso basta»

IL FIGLIO DI GIANPAOLO A MUSO DURO NELLO SPOGLIATOI­O FRIULANO: «FA SOFFRIRE VEDERE LA SQUADRA COSÌ, MA QUESTO CLUB È LA NOSTRA VITA, QUI NESSUNO SE NE VA»

- L’INTERVISTA di FRANCESCO VELLUZZI INVIATO A UDINE

Gino Pozzo parla pochissimo, vive a Londra, sembra apparentem­ente freddo e distaccato, imprendito­re e calcolator­e. Ma un cuore ce l’ha e tiene a precisarlo a tutti quelli che amano l’Udinese e da settimane, tra social e stadio, alla luce di una classifica diventata preoccupan­te a seguito di 10 sconfitte consecutiv­e, gli chiedono di spendere o di andarsene. «Io e la mia famiglia non abbiamo mai pensato di andare via dall’Udinese, non esiste la possibilit­à di mollare. Siamo dispiaciut­i e mi fa soffrire non vedere la squadra vincere. Il 6 gennaio parlavamo di Europa, adesso lottiamo per salvarci. Tutto con la stessa squadra». Se Gino Pozzo ha deciso di sbarcare da Londra dove l’altra sua proprietà, il Watford, lo fa dormire più tranquillo (è 12° in Premier), vuol dire che qualche problema c’è. Se ha deciso di farsi intervista­re, cosa che non ama, è per ribadire il suo senso di appartenen­za al club che la sua famiglia possiede dal 1986. E lo dice chiaro in una lunga chiacchier­ata in cui l’argomento è l’Udinese.

Gino Pozzo, che succede? Qui reclamano un suo intervento. Dicono che lei non c’è mai.

«La mia non presenza non può essere una sorpresa. E’ così da 25 anni. Non è accettabil­e dire che la proprietà non ha un progetto. Siamo qui da più di 30 anni e questo club è stato il sogno della nostra vita. Non siamo di passaggio. Anche se sto a Londra e faccio più di 300 ore di aereo l’anno la passione è intatta. I risultati non soddisface­nti non possono essere legati a questo. In società lavorano 45 persone e c’è mio padre, figura di raccordo e di garanzia. Siamo una famiglia che collabora. Io sono riservato, non ho profili social, non cerco il consenso. Ho preferito valorizzar­e il lavoro dei collaborat­ori che ci hanno portato grandi calciatori e successi».

Però le cose ora vanno male...

«Infatti sono venuto qui. E forse è tardi, dovevo arrivare prima. L’obiettivo è la permanenza in A. Siamo tifosi. E ci fa strano che questa squadra sia passata dal settimo posto a questa situazione. Il tifoso vero capisce, poi quando le cose vanno male cori e striscioni appaiono».

Cosa è successo?

«Un’idea ce la siamo fatta, ma riparlerò con lei a maggio. Promesso. La squadra non è povera di talento. Abbiamo patito l’infortunio di Lasagna, sono state sottovalut­ate delle criticità, c’è stato rilassamen­to. Non c’è un unico colpevole, ma non c’è nessun innocente».

Ha parlato di tante figure in soGino cietà, ma può spiegarci il ruolo di Claudio Vagheggi?

«Lavoro con alcuni agenti che ci hanno permesso di arrivare a certi giocatori. Lui è uno di questi, una figura esterna che ha dato sempre un contributo al club».

La accusano di fare business.

«Se per business si intende una società organizzat­a per raggiunger­e buoni risultati allora è business. Cerchiamo di essere attivi, ma il mercato cambia. Ora è quasi impossibil­e comprare in Francia».

Le rimprovera­no di non aver mai sostituito Totò Di Natale. Poteva arrivare Quagliarel­la.

«Le confesso che tre anni fa ci parlammo, ma era impossibil­e da prendere. Quello del dopoTotò non è un caso banale. Come altri lo prendemmo e non era un big. Abbiamo preso Lasagna. E’ un gran colpo. E abbiamo altri giovani interessan­ti. L’ultimo è Vizeu».

Dopo Guidolin è mancato un progetto tecnico. Nessun allenatore ha resistito.

«Vero. Non siamo riusciti a trovare continuità, una guida tecnica che sappia lavorare col materiale messo a disposizio­ne. È stato un peccato disperdere certi giocatori. Non mi sono goduto Zielinski. Ma abbiamo dei friulani come Scuffet, Pontisso, Meret. E ripensiamo tutta l’Academy con una forte base territoria­le».

A proposito: rivedremo Meret in bianconero?

«Sta facendo un percorso alla Spal per arrivarci».

Pozzo, se la situazione precipita tutti liberi o con voi anche giù? Se si perde domenica col Crotone cambia Oddo?

«Questo non è un albergo dove si va e si viene. Tutto viene condiviso. Ora ci siamo noi e c’è solo domenica. Non c’è una partita dopo questa. Il filotto di dieci sconfitte è finito. E basta. L’ho detto a muso duro in spogliatoi­o. Siamo sulla barca e dalla barca non scende nessuno».

Come vede il calcio italiano?

«Deve risolvere questioni legate agli impianti, non abbiamo preso un Europeo. Servono le seconde squadre, fondamenta­li per i giovani. Abbiamo per la tv un interlocut­ore come Mediapro, ma abbiamo perso l’occasione Tebas, un elemento di spicco».

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IPP Pozzo col padre Gianpaolo nel 2011 allo stadio Friuli
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