ESPORTS SENZA VIOLENZA ALLE OLIMPIADI: MOSSA GIUSTA DEL CIO
La decisione del presidente Bach
Si può spegnere un fiume in piena come se avesse un rubinetto? No, ma puoi incanalarne l’energia, fare tesoro dell’acqua così che i campi li nutra e non li devasti. Ecco, le ultime parole di Thomas Bach, in tema di eSports vanno in questa direzione. Perché i binari su cui viaggiano sport virtuali e tradizionali prima o poi dovranno incontrarsi: seguito e attenzione (e praticanti) dei primi non possono essere ignorati dai secondi, così come senza una certificazione ufficiale della loro attività i player non smetteranno di essere «quelli dei giochi elettronici». Un videogiocatore pro compie fino a 300 azioni al minuto all’interno di discipline con una forte componente tattica: non è uno sforzo da poco e richiede allenamento, concentrazione e dedizione. Parametri da atleta, pure Bach lo ammette. Il problema nasce là dove un videogame simula guerra, uccisioni, bombardamenti: che sia ambientata durante un conflitto vero o nel paese delle fiabe, la violenza è violenza e i valori olimpici promuovono pace. Bach quindi prova a deviare utilmente il corso del fiume: okay gli eSports, ma che simulino lo sport vero, con la speranza che chi li guarda provi a praticarli sul campo. Lodevole, de Coubertin non avrebbe trovato compromesso migliore. Ma manca tanto prima di vedere i Cinque Cerchi attorno a un pad. Innanzitutto il Cio non ha un interlocutore forte e indipendente dall’industria che garantisca conformità al resto dei principi (doping, scommesse, eccetera). I giochi sportivi hanno inoltre un decimo del seguito gigantesco che certi sparatutto si portano dietro, quindi il fattore interesse si restringerebbe. E poi ancora ci sono eSports non violenti, ma complicati e strategici come gli scacchi, stravisti per carità, ma valli a spiegare agli altri. Aspetti da discutere, provare e progettare. Intanto ogni parola è un passo.