Nel magico mondo di Alaphilippe, batterista ribelle
●Il francese re della Freccia è figlio di un direttore d’orchestra. E ha fatto il meccanico
«Voglio vincere tutte le grandi corse al mondo. Il mio primo obiettivo sono le classiche, ma in futuro vorrei fare classifica anche nei grandi giri. Mi sento un vincente e non mi vedo come gregario. Voglio arrivare più in alto possibile, non so fin dove». Punto e a capo. Questo è Julian Alaphilippe, il 25enne francese che mercoledì sul Muro di Huy ha centrato la prima vittoria di prestigio della carriera, la Freccia Vallone. Un trionfo che domenica lo candida, con Nibali e Valverde, a favorito della Liegi-Bastogne-Liegi.
MUSICA Julian viene da Saint Amand Montrond, comune del dipartimento del Cher, al centro quasi esatto della Francia. Arriva da una famiglia che non ha legami col ciclismo. Il padre Jacques, ex direttore d’orchestra, gli ha trasmesso la passione per la musica. Fin da bambino Julian ha iniziato a picchiare sulla batteria. Da piccolo era un sistema per sfogare la sua carica vitale, ora uno strumento per rilassarsi: «Sono sempre a blocco — dice — e ogni tanto mi serve una pausa. Vado a orecchio, da giovane ho studiato solfeggio ma non mi piaceva, non mi divertiva». Katrine, invece, ha sempre pensato fare la casalinga e la mamma visto che oltre a lui ci sono Bryan, che ha 22 anni e corre tra i dilettanti («lui è un velocista, il sogno è di correre un giorno nella stessa squadra»), e Leo, 14.
POCHI SOLDI Il primo contatto con la bici avviene così per gioco, con la mountain bike. «Ci andavo ogni giorno, per me era un divertimento. Un giorno mio padre mi iscrisse in un club di Montluçon e ho cominciato ad allenarmi. La prima corsa a 13 anni, con una bici vecchissima, perché i miei genitori non avevano i soldi per comprarmene una come si deve. Ricordo anche quanta fatica facevano a trovare il denaro per comprare i ricambi: certe cose non si dimenticano. Da junior mi sono dedicato al cross: vinsi la Coppa del Mondo e l’argento mondiale. Il cross è stato la mia scuola, ho iniziato con quello, mi ha insegnato la tecnica e l’abilità di guidare la bici. Ma soprattutto mi ha insegnato a sopportare la grande sofferenza, il dolore. Le gare sono uno sforzo molto intenso. All’epoca non avrei mai pensato di dire addio al fuoristrada per dedicarmi alla strada, invece è successo. Ora però non lo pratico, al massimo d’inverno prendo qualche volta la mountain bike. Se un giorno tornerò a gareggiare in questa disciplina sarà per puntare seriamente alla vittoria, ora mi limito a seguire le gare in tv durante il periodo delle vacanze. Le stagioni sono già lunghissime». Del ciclismo Alaphilippe ha conosciuto anche un altro aspetto: «Quando avevo 18 anni — ricorda — prima di firmare con i dilettanti dell ‘Armée de Terre ho fatto il meccanico di biciclette. Nel mio paese c’era un negozio che cercava un giovane e io volevo guadagnare qualche soldo».
OBIETTIVO HINAULT Per il modo di correre e per il fisico, assomiglia molto Paolo Bettini, anche se il campione toscano ritiene che sia ancor più forte di lui in salita. Dopodomani, intanto, arriva la corsa dei suoi sogni, che lo ha già visto secondo tre anni fa dietro a Valverde: «Ci vuole anche fortuna, ma voglio vincere la Liegi. È un piacere vedermi lì con Valverde, Nibali, Kwiatkowski, Gilbert, il compagno da cui ho imparato di più. Però il mio obiettivo non è stare con loro. Il mio obiettivo è tenerli dietro, batterli». L’ultimo francese a vincere la Doyenne, nell’ormai lontanissimo 1980, fu Bernard Hinault, che di lì a quattro mesi, a Sallanches, in quello che molti definiscono il Mondiale più duro di sempre, conquistò la maglia iridata. Julian non pone un limite ai suoi sogni.