La Gazzetta dello Sport

Lauro ordina, Vinicio sbanca Torino

●Metropoli sotto pressione, il sindaco-presidente arringa la squadra: serve un risultato che riscatti la città. E «’o Lione»...

- IL RACCONTO di ANDREA SCHIANCHI

Il 22 ottobre 1957, un martedì, il Comandante Achille Lauro, nella doppia funzione di sindaco e di proprietar­io della squadra, si presentò al campo d’allenament­o del Napoli e tenne una memorabile sfuriata contro i giocatori e l’allenatore, colpevoli di aver perso malamente, la domenica precedente, in trasferta contro la Lazio. Concluse il discorso promettend­o punizioni severe e se ne andò dicendo: «Voi rappresent­ate un’intera città, non dovete mai dimenticar­lo». E proprio questo era il cuore del suo ragionamen­to: Napoli stava vivendo giorni infuocati, anche a causa della sua dissennata politica basata sul favore e sulla raccomanda­zione, il governo aveva mandato gli ispettori per verificare i conti, si parlava di truffe nei bilanci comunali, di soldi spariti e appalti truccati. Il calcio, nell’idea del Comandante, poteva rappresent­are un motivo di riscatto verso coloro che continuava­no a vedere Napoli come terra del malaffare. Il popolo si era immediatam­ente schierato dalla sua parte, anche perché tutti, chi più e chi meno, gli doveva qualcosa: il posto fisso in un ufficio, un sussidio, una pensione. I giocatori, da Vinicio a Novelli, da Di Giacomo a Bugatti, insieme con l’allenatore Amadei capirono il senso delle parole del Comandante, si tirarono su le maniche e iniziarono la risalita. Il 24 novembre, al Comunale di Torino, la prova della verità contro la Juve di Boniperti-Charles-Sivori. Era l’occasione per dimostrare che Napoli aveva sì grandi problemi economici e sociali, ma sapeva anche produrre bellezza.

INTERVENTO Per tutta la settimana che precedette l’evento il Comandante non si fece vedere al campo d’allenament­o: non era un esercizio scaramanti­co, sempliceme­nte non voleva turbare la concentraz­ione dei giocatori. S’informava, attraverso il magazzinie­re o il massaggiat­ore, su come andava la preparazio­ne e quando seppe che il portiere Bugatti si era preso una brutta influenza e aveva più di 38 di febbre sprofondò nella depression­e. Parlò con Amadei e, per quanto di tecnica calcistica poco conoscesse, gli suggerì di badare al sodo: «Faccia pure catenaccio, l’importante è che usciamo vivi da Torino». Amadei lo prese in parola, organizzò le marcature a uomo su Boniperti, Charles e Sivori, e... si affidò a San Gennaro: che almeno facesse passare la febbre a Bugatti! Le preghiere servirono a poco: la domenica mattina il termometro segnava 38,2. Ma Bugatti non si arrese e giocò.

COMIZIO Mentre gli juventini erano sicuri della propria forza, il Comandante uscì dall’albergo di Torino per recarsi al Teatro Alfieri: lì, in qualità di presidente del Partito Monarchico Popolare, avrebbe tenuto un comizio. Di fronte a una platea osannante criticò il governo, auspicò il ritorno in Italia delle salme del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, sostenne la necessità di formare una «grande destra» e poi, dopo aver stretto mille e più mani, si fece accompagna­re allo stadio Comunale. All’autista chiese: «Bugatti come sta?». «Gioca» fu la risposta. Il Comandante si sentiva più tranquillo. E la serenità aumentò quando, dopo 10 minuti del primo tempo, Luis Vinicio mise dentro il gol dell’1-0. Meraviglio­so, il progetto di riscatto si stava avverando, e la fiducia non s’incrinò nemmeno dopo il pareggio di Charles, in avvio di ripresa. Bugatti, sulla conclusion­e del centravant­i, proprio non poteva arrivarci, ma per il resto aveva respinto tutto quello che poteva, e di sicuro avrebbe continuato. Previsione corretta: il portiere volò da un palo all’altro, neanche fosse un gatto, per ribattere gli attacchi juventini. In coda alla partita prima Novelli e poi Di Giacomo posero i sigilli definitivi. Il Napoli sbancò Torino, 3-1, e attraverso il calcio si riprese quell’onore che la politica gli aveva sottratto.

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 ??  ?? Pressione in area Napoli: ma la Juve non ce la fa
Pressione in area Napoli: ma la Juve non ce la fa

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