Ma cosa resta da fare se dovesse fallire pure il mandato a Fico?
●Il presidente della Camera dovrà sondare possibili contatti M5S-Pd. Le distanze sembrano insormontabili. Ira di Salvini
Sergio Mattarella, ieri alle 17, ha fatto salire il presidente della Camera Roberto Fico al Quirinale e poi gli ha conferito un mandato esplorativo, da esaurirsi entro giovedì prossimo: verificare le possibilità di un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare formata da M5S ePd. Fico è arrivato a piedi, e, da napoletano, ha risposto a qualche grido di “Forza Napoli!”, lanciato da grillini entusiasti del gol di Koulibaly. Per il resto, non ha detto nulla e, finito il colloquio con Mattarella, è andato a parlare con Gentiloni.
1 I voti per dar vita a una maggioranza ci sono?
Sulla carta, sì. Alla Camera il Movimento 5 stelle ha 227 deputati e il Pd 112. Fa 339 su 630, non troppo larga, ma c’è. Al Senato, M5S 112 e Pd 54: fa 166 su 315, ci siamo per poco. Bisognerebbe che il Pd aderisse all’idea di sostenere un governo 5 Stelle senza tentennamenti. Difficile, se stiamo a quello che s’è visto fino adesso e che s’è sentito ancora ieri. Cominciando dalle dichiarazioni del reggente, Maurizio Martina: «Dialogo con serietà e coerenza a partire da una questione fondamentale e prioritaria: la fine di ogni ambiguità e di trattative parallele con noi e anche con Lega e centrodestra. Per rispetto degli italiani, dopo 50 giorni di tira e molla, occorre su questo totale chiarezza». Una condizione che Di Maio, nonostante il fallimento dell’esplorazione Casellati, non può garantire del tutto. Il forno Lega è sempre aperto, fino a una dichiarazione esplicita di segno contrario. E in ogni caso i renziani hanno confermato il loro no a qualunque intesa con i grillini. Hanno parlato per tutti i due capigruppo dem. Ettore Rosato, che guida i deputati: «Distanze enormi e insormontabili». Andrea Marcucci, capo dei senatori: «Non ci sono le condizioni minime per una maggioranza politica tra Cinque Stelle e Pd. Ascolteremo Fico con la dovuta attenzione, ma le distanze sul programma restano molto marcate».
2 È vero?
Di Maio ha affidato al professore Giacinto Della Cananea lo studio dei punti in comune - reali o ipotetici - tra il programma del M5S, quello della Lega e quello del Pd. Lo stesso professore, con la sua équipe, ha notato che conciliare le varie piattaforme è difficile («le divergenze riguardano temi e problemi tra quelli più rilevanti per l’azione dello Stato, all’interno e all’esterno, e sono quindi tali da rendere ardua la formazione di un governo coeso»). Il reddito di cittadinanza, per esempio, si trasforma in «salario minimo garantito» quando si sposa con l’idea del Pd (non è assolutamente la stessa cosa) e in salario minimo orario quando si fonde con l’idea leghista. Scompare la banca pubblica ipotizzata dai grillini, sul fisco ci si limita a chiedere di «far pagare il giusto alle imprese multinazionali», permanenza nella Nato, scomparsa dell’opposizione alla Tav. Eccetera. Mi pare difficile, molto difficile.
3 Se va a vuoto anche questa che succede?
Il governo del presidente, forse, con la differenza che non siamo più nel 2011 e i partiti probabilmente si mangerebbero vivo il nuovo Monti. Anche perché qualunque concessione farebbe perder voti. Bisogna convincersi che, a partire da venerdì, entriamo di fatto in campagna elettorale, a meno di un ripensamento di Salvini dopo il voto in Friuli e un ritorno di fiamma dell’ipotesi Lega-M5S.
4 Già, Salvini che dice?
Sul governo M5S-Pd: «Farò di tutto perché non accada questa presa in giro. Alla fine, possiamo provare a tirarci su le maniche e a provare a far da soli». Che è l’ipotesi di Berlusconi (il quale continua a sognare un coinvolgimento dei renziani). Di Maio gli ha risposto: «Salvini non vuole governare? Buona fortuna». Poi: «Accetto la richiesta del capo dello Stato di provare una intesa tra M5S e Pd e incontrerò il presidente della Camera Fico e valuterò le possibilità di intraprendere questo percorso. Questa è la settimana decisiva e sono ottimista, perché non sarà un’alleanza: le condizioni non cambiano con la Lega o con il Pd, vogliamo un contratto di governo che non prescinda dal nostro programma, che non è né di destra né di sinistra ma solo di buonsenso». Le malelingue insinuano che Di Maio sia in grande agitazione per il fatto che, dopo il mandato esplorativo, l’incarico di formare il governo e di entrare a Palazzo Chigi potrebbe essere dato allo stesso Fico, certo più gradito ai democratici di Di Maio.
5 Il voto in Molise sposta qualcosa?
Ha vinto il candidato del centrodestra, Donato Toma, e Berlusconi ha preso qualche voto più di Salvini (dimezzando però la dote delle politiche). Il Cav ha ripreso fiato per reclamare a gran voce un governo della sua parte. È più significativa però la perdita di voti rispetto alle politiche del M5S, sceso - come partito - dal 44 del 4 marzo al 31 di domenica. Sono valutazioni da prendere con le molle perché era sempre un’elezione locale, zeppa di liste civiche, e comunque il M5S ha triplicato il numero degli eletti rispetto al 2013, da due a sei.