Giallo Macchi, ergastolo all’amico 31 anni dopo
●Il varesino Binda conosceva la vittima: condannato per l’omicidio del 1987 Prova regina una lettera-confessione
Prima, un cauto commento: «Dopo quello che è venuto fuori durante il processo, penso sia lui». Poi, una riflessione. «Penso a una mamma che si trova con un figlio in una situazione così... Io l’ho persa mia figlia, ma anche lei». Paola Bettoni reagisce così alla sentenza che ieri a Varese ha condannato all’ergastolo Stefano Binda, cinquantenne varesino, per l’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa in Legge trovata uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 in un bosco di Cittiglio (Va), dopo aver subito una violenza sessuale. E così, 31 anni dopo, c’è un colpevole, almeno in primo grado per un cold case riapertosi nel luglio 2014, quando una testimone riconobbe la grafia di Binda su una lettera (In morte di un’amica) che qualcuno aveva recapitato alla famiglia di Lidia il giorno dei funerali. E che il quotidiano La Prealpina aveva da poco pubblicato. Un’autoaccusa, per i pm. E poi c’è quella frase, «Stefano è un barbaro assassino», trovata dentro un’agenda in casa di Binda e la poca chiarezza sul rapporto con Lidia. Laureato in Filosofia e reduce da anni di tossicodipendenza, l’ex compagno di classe della Macchi e frequentatore, come lei, di Comunione e Liberazione l’avrebbe accoltellata «nell’intento distruttivo della donna, considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio delirante credo religioso», scriveva l’accusa. Binda si dice innocente: «Quel giorno ero in montagna con Cl». Ma mancano le conferme. Anche se, fra i suoi vecchi amici, c’è chi dice che quella lettera non è sua.