La Gazzetta dello Sport

IL GENIO E L’ALTRUISMO AL POTERE

L’annuncio dell’addio al Barça

- L’ANALISI di PAOLO CONDÒ

Non c’è stato privilegio più grande del poter assistere a decine e decine di partite di Andres Iniesta. Non c’è stato un premio più ambito, un incarico più gradito, un’opportunit­à più agognata del seguire - spesso dal vivo - gli sviluppi della sua arte calcistica, riuscendo talvolta a immaginare la mossa successiva; eppure restando a bocca aperta quando l’evolversi dell’azione, pur conseguent­e nei singoli passaggi, portava da tutt’altra parte rispetto all’idea di partenza. Iniesta è stato la quintessen­za del pensiero associativ­o, una tecnica da sballo al continuo servizio dei compagni. Nell’incessante tela di triangoli che ci cuciva davanti agli occhi, la stella polare è sempre stata l’interesse della squadra. E a ogni iterazione del fraseggio con Messi o con Xavi, impercetti­bilmente la linea di difesa avversaria si spostava più indietro, o dilatava le sue maglie, o magari perdeva un uomo, sacrificat­o dietro i miraggi del supremo illusionis­ta. Il pensiero altruista come arma di vittoria: Iniesta è il giocatore più universalm­ente amato perché asseconda ogni istinto, dai lussuriosi del gioco agli implacabil­i del risultato. Pochi i riferiment­i storici così nobili: Zidane e Rivera, forse. Non molti altri. Abbiamo ancora alcune partite per godercelo, don Andres. Le ultime col Barcellona - domani dovrebbe piovergli in mano la nona Liga - e quelle che la Spagna giocherà al Mondiale: si spera tante, considerat­o il mix fra talenti crepuscola­ri ma ancora vitali e giovani di mirabolant­i prospettiv­e. Ugualmente, è già straniante il vuoto che si avverte al pensiero che Iniesta, di qui a qualche mese, offrirà le sue estreme pennellate al pubblico cinese, come un Buffalo Bill al circo. Perché in questi 22 anni il cavaliere pallido è stato l’autentico e profondo segreto del Barcellona: la filosofia del suo calcio non si è adeguata a quella del club, ma ha contribuit­o ad evolverla. Come un grande scacchista, Iniesta ha sempre visto con dieci secondi d’anticipo gli effetti delle sue scelte sul gioco e si è mosso di conseguenz­a, accettando la gloria personale solo se necessario. Due gol ricordiamo di lui, e sono capitali: il pareggio di Stamford Bridge - la cruna dell’ago che il Barça di Guardiola attraversa, per una volta senza meritare, diretto verso la sua grandezza - e la rete che assegna alla Spagna il primo Mondiale. Messi e Ronaldo hanno segnato un milione di gol in più, in forza di un talento soprannatu­rale. Ma il talento scrisse Schopenhau­er - colpisce bersagli che nessun altro può colpire, mentre il genio colpisce bersagli che nessun altro può vedere. Andres Iniesta è stato un genio.

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