La Gazzetta dello Sport

Piccoli Sabonis crescono L’impresa Zalgiris porta il marchio di Jasikevici­us

●Kaunas alle Final Four grazie al geniale tecnico La storica rivalità coi russi e il futuro nel Progaming

- Massimo Oriani

Il giorno dopo sui social è virale la foto di Sarunas Jasikevici­us in lacrime durante gli ultimi secondi di gara-4 del suo Zalgiris contro l’Olympiacos Pireo. Quella che ha portato alle Final Four di Belgrado una squadra alla quale era stato pronostica­to il penultimo posto da un panel di esperti alla vigilia della stagione. Quella che ha un budget infinitesi­male rispetto alle milionate del Cska Mosca e di altre big. Quella che ha due americani (Brandon Davies e Aaron White), un francese (Axel Toupane), due sloveni (Kevin Pangos e il veteraniss­imo Beno Udrih), un serbo (Vasjlie Micic) e poi otto indigeni in un roster che non dovrebbe metter paura a nessuno a quei livelli.

MANICO La differenza sta nel manico. Perché Jasikevici­us – a mani basse coach dell’anno in Eurolega – è un genio. Un condottier­o che solo a guardarlo negli occhi ti butteresti nel fuoco per lui. Sguardo glaciale, ma poi quando ci parli capisci quanto sia un’anima gentile, un secondo padre per i suoi giocatori, un marito che corre ad abbracciar­e la moglie Anna a fine gara, il sogno diventato realtà. Ma soprattutt­o è un allenatore coi fiocchi. Innamorato di Kaunas, molto probabilme­nte l’uomo più popolare della Lituania: «Per tantissimi anni sono stato il primo tifoso dello Zalgiris – ha raccontato – e lo sarò sino alla morte. Ho adorato tante città dove ho giocato, ma il primo amore non si scorda mai». Il figlio di Rita, iridata nella pallamano con l’Urss nel ‘75, e Linas, che a 6 anni lo portò al suo primo allenament­o con la palla a spicchi, è stato l’unico giocatore nella storia dell’Eurolega a portare tre squadre al titolo continenta­le (Barcellona, Maccabi Tel Aviv e Panathinai­kos Atene) e ora eccelle in panchina grazie a un basket che fa del concetto di squadra la sua forza. Un team non di operai ma di specialist­i, dove ognuno sa sempre cosa deve fare e quando deve farlo, un’orchestra che non potrebbe suonare se tutti non tenessero fede allo spartito di coach Saras. L’esaltazion­e massima del sistema.

URSS Le radici dello Zalgiris, nato nel 1944, affondano nella vecchia Unione Sovietica, quando la rivalità con l’Armata Rossa andava oltre l’aspetto sportivo. C’era già voglia di autonomia, spiravano venti di indipenden­tismo. Oltre 40 anni dopo, le imprese dello Zalgiris furono uno dei motivi d’ispirazion­e dello Sajudis, il movimento riformista che sarebbe sfociato nella nascita della Repubblica di Lituania nel 1990 dopo la caduta del Muro di Berlino. «Ricordo come fosse oggi le tre sconfitte in fila dall’85 all’87 – rammentava di recente Sergei Tarakanov, uno dei pilastri dell’Armata Rossa degli anni ‘80 –. Fu una tragedia per me, anzi, lo è ancora, perché ero la bandiera di quella squadra». Era anche la sfida tra la scuola baltica e quella russa, composta da giocatori che venivano da Mosca, dalla Siberia e dagli Urali, quindi con una fisionomia meno precisa, ma ovviamente un bacino ben più ampio da cui pescare.

SABONIS L’epoca d’oro dei verdi coincise con l’esplosione della generazion­e d’oro, quella con a capo Arvydas Sabonis, e accanto talenti come Sergejus Jovaisa, Rimas Kurtinaiti­s e Valdemaras Chomicius. Arrivarono altri 3 titoli sovietici e i primi risultati di spicco nelle coppe europee, con la finale di Saporta ‘84 persa col Barcellona o quella di Coppa dei Campioni ‘86, dove prevalse il Cibona Zagabria di Drazen Petrovic. La nascita dello Stato lituano portò all’inizio della dinastia dello Zalgiris, con 9 titoli nazionali consecutiv­i. Nel ‘98 Kaunas alzò la prima coppa della sua storia, la Saporta strappata all’Adecco Milano grazie ai 35 punti di Saulius Stombergas. Il coronament­o della leggenda dei verdi nel ‘99, con il trionfo alle Final Four di Monaco in finale su un’altra italiana, la Virtus Bologna. Era lo Zalgiris di Tyus Edney, Stombergas, Anthony Bowie, Eurelijus Zukauskas e Jiri Zidek, allenato da Jonas Kazlauskas. Oggi il club è diventato uno dei punti di riferiment­o del basket europeo. Nel 2008 ha inaugurato la splendida Zalgirio Arena, impianto da oltre 15.000 posti perennemen­te esaurito, che ha sostituito il vetusto, ma storico Darius e Girenas. Qualche mese fa il presidente Paulius Motiejunas ha celebrato la nascita di una franchigia per gli e-sport, con l’intenzione di entrare quanto prima nel circuito del Progaming e far conoscere nel mondo il marchio Zalgiris.

SCIATORE Se il direttore d’orchestra dalla panchina è Saras, il suo braccio destro in campo è Kevin Pangos, forgiato da un altro allenatore di alto livello, Mark Few a Gonzaga, un piccolo John Stockton per restare in tema Zags. La guardia è anche il miglior realizzato­re dei suoi con 12.7 di media, mentre primo negli assist è il serbo Vasilij Micic, sciatore mancato, 4 volte campione di Serbia e due dei balcani in slalom e gigante a livello giovanile, prima che la famiglia dalle montagne di Kopaonik si trasferiss­e a Belgrado, dove il basket è religione. Proprio come sulle rive del Mar Baltico. Da quelle parti da ieri spira aria di vittoria. Potete star certi che le lacrime di Saras non sono state le uniche a scorrere giovedì sera.

NON ABBIAMO ESPERIENZA, MA LOTTIAMO COME NESSUN ALTRO

SARUNAS JASIKEVICI­US TECNICO ZALGIRIS

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EUROLEAGUE La gioia di Brandon Davies, che si toglie la maglia per festeggiar­e coi compagni le Final Four
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Una panoramica della Zalgirio Arena di Kaunas, capienza 15.688
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