La Gazzetta dello Sport

Questo derby per l’Italia è un romanzo

Principess­e, risse, vendette, scandali Inter-Juventus, romanzo del Paese

- Di ANDREA SCHIANCHI

Non è soltanto una partita di calcio, ma un autentico romanzo popolare: il romanzo popolare dell’Italia unita. Inter contro Juventus: la storia di un intero Paese si riflette in questa sfida che accende il pubblico, lo entusiasma o lo deprime (a seconda di dove stia il cuore), e comunque sempre lo tiene desto a testimonia­nza di un interesse che scavalca le recinzioni dello stadio e sbarca nelle strade, nelle piazze, nella vita di tutti i giorni. Inter contro Juventus è un gigantesco fiume in piena che ci viene addosso e ci consegna meraviglie, aneddoti, gesti eroici, curiosità, avventure ai limiti dell’umano, dribbling e gol strepitosi, parate memorabili e fantastich­e invenzioni. Talvolta, purtroppo, queste acque impetuose portano anche detriti: l’importante è non farsene travolgere e non perdere mai il senso dell’equilibrio.

EPICA La prima volta è il 14 novembre 1909, sul campo di Corso Sebastopol­i a Torino: Juventus batte Inter 2-0, doppietta di Ernesto Borel. L’ultima, sempre a Torino, il 9 dicembre 2017: finisce 0-0. In mezzo un’infinita serie di battaglie che contribuis­cono a trasformar­e il calcio in un fatto epico. Ecco allora che nel primo scontro di Serie A a girone unico, è il 19 marzo del 1930, Peppìn Meazza incanta il pubblico di Torino e, come un eroe ariostesco, rapisce gli occhi della principess­a Maria Josè, seduta in tribuna di fianco al marito Umberto di Savoia. Quella volta, per un impegno inderogabi­le, il Re Vittorio Emanuele III è costretto a rinunciare allo spettacolo. Meazza, il Balilla del calcio nazionale, negli anni Trenta è un’iradiddio. Anzi, come scriverà Gianni Brera, è il fòlber. Non lo ferma nessuno, guizza come un’anguilla in mezzo ai difensori avversari, specialmen­te quelli della Juventus, e strappa applausi. Sono 12 i gol che il Peppìn realizza contro i bianconeri, ma questo bottino non riesce a togliergli l’amarezza per il finale di campionato del 1935. E’ il 2 giugno quando si disputa l’ultima giornata, Inter e Juve sono in testa a pari punti. I nerazzurri perdono a Roma contro la Lazio (2-4), mentre i bianconeri sbancano Firenze con un gol di Ferrari: per la Juve è il quinto scudetto consecutiv­o. La delusione del Balilla è la gioia della famiglia Agnelli che, tuttavia, dopo poco più di un mese, dovrà affrontare il dolore per l’improvvisa morte di Edoardo, il presidente della società, erede designato dal senatore Giovanni.

PIETÀ Il 18 novembre 1945, all’Arena di Milano, si gioca la prima sfida del dopoguerra. In mezzo alle macerie si prova a sopravvive­re e il calcio fa la sua parte. Ma diventa, nel caso specifico, occasione per una vera e propria rivolta popolare. Succede che la Juve è in vantaggio 2-1 a pochi minuti dalla fine, domina (e merita il successo), ma all’improvviso l’interista Penzo realizza il gol del pareggio. I bianconeri protestano: il pallone non è entrato completame­nte in rete, gridano. Il pubblico, tutto di fede nerazzurra, si fa minaccioso: scende dalle gradinate e fa capire all’arbitro Scorzoni che è bene convalidar­e il gol. Gli ultimi minuti si giocano con la gente a bordo campo, in un clima da guerra civile. Per fortuna le tensioni, figlie del conflitto e del dolore, si placano e nel periodo successivo Inter contro Juventus torna a essere una partita di pallone: sentita, combattuta, ma sempre e solo una partita. Il 4 aprile del 1954, ad esempio, i nerazzurri infliggono uno storico 6-0 alla Juventus, però i giocatori escono stringendo­si le mani, e i vincitori consolano i vinti. Omero insegna: Achille restituisc­e a Priamo il corpo di Ettore. La

pietas è un valore fondante dello sport, anche se a dir la verità Omar Sivori, forse perché argentino e dunque a digiuno di epica, non sembra curarsene troppo. Nel 1961, dopo un’infinita polemica, la Federcalci­o guidata dal presidente bianconero Umberto Agnelli ordina che Juventus-Inter venga rigiocata: i nerazzurri di Moratti Senior, per protesta, mandano in campo la squadra dei ragazzini. I bianconeri infierisco­no: 9-1, con 6 gol di Sivori che pare assatanato. Ma Sandrino Mazzola, autore dell’unica rete interista in quella maledetta partita del 1961, si rifà due anni più tardi: timbra l’1-0 con il quale gli Herrera Boys vincono in casa della Juventus, e quello sarà il successo decisivo per il primo scudetto del Mago.

BOCCONE Se l’Inter, figlia prediletta della ricca borghesia milanese, negli anni Sessanta balla il twist e vive il momento della gloria assoluta, in quello stesso periodo la Juventus si fa operaia: manda giù bocconi amari, ma la crisi sociale alle porte impone alla famiglia Agnelli di non investire troppo nel calcio. I tifosi, in gran parte, sono operai della Fiat, venuti dal sud a cercare fortuna. La politica aziendale è chiara: prima gli stipendi ai lavoratori, poi il divertimen­to. Tuttavia ciò non vieta di togliersi qualche sfizio, come accade nel 1967. L’Inter si suicida a Mantova e la Juventus ne approfitta portandole via lo scudetto da sotto il naso e chiudendo di fatto l’epoca d’oro di Helenio Herrera. E’ in questa occasione che Brera definisce «derby d’Italia» la sfida tra Inter e Juventus, consideran­do le due squadre come le più rappresent­ative del nostro calcio. Poi vengono gli anni Settanta e gli anni Ottanta che per i nerazzurri sono un lungo passaggio in Purgatorio, spesso costretti ad assistere ai trionfi juventini, magistralm­ente costruiti da un dirigente abile e competente come Boniperti. E’ lui, più di altri, più di Platini e di Zoff, più di Gentile e più di Bettega, a far diventare la Juventus quello che la Juventus dev’essere secondo il desiderio dell’Avvocato Agnelli: una squadra per la quale il risultato non è importante, ma è tutto.

FINALE L’ultimo ventennio di questo meraviglio­so romanzo popolare riserva la parte più dolorosa, le polemiche, i veleni, gli scandali veri o presunti, le dietrologi­e e i sospetti. Tutto ciò di cui non c’è bisogno quando si va allo stadio, insomma. Se proprio si deve trovare una data d’inizio per questo periodo, è abbastanza naturale dire il 26 aprile 1998: l’intervento in area di Iuliano su Ronaldo, l’arbitro Ceccarini che non fischia il rigore e l’incendio che divampa. E arriva fino alla primavera del 2006 quando scoppia Calciopoli e la Juventus della triade MoggiGirau­do-Bettega viene retrocessa in Serie B. Il presidente Moratti si vede assegnato quello che lui definisce «lo scudetto degli onesti», i bianconeri reagiscono e lo chiamano «lo scudetto di cartone». Apriti cielo: tra Juventus e Inter, da allora, non c’è più pace. Purtroppo, viene da aggiungere. Perché non si può rovinare un bel romanzo con un brutto finale.

●Dalla doppietta di Borel in corso Sebastopol­i a uno 0-0, da Meazza che rapisce gli occhi a Maria Josè al caso Iuliano-Ronaldo del 1998

I FATTI

Agnelli-Moratti diventa uno scontro sociale-sportivo che pare infinito

L’ultimo ventennio rappresent­a la parte più dolorosa con Calciopoli

●●li incroci diretti e indiretti hanno lasciato tracce nella storia della nazione. La papera di Sarti, i giovanotti interisti del 1961...

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4 ● 1 Ronaldo-Iuliano, 26 aprile 1998 a Torino: per l’arbitro Ceccarini non è rigore ● 2 Skoglund, che segna una doppietta, impegnato nel 6-0 interista del 4 aprile 1954 ● 3 Nel 1961 un’invasione rinvia la gara a giugno. L’Inter per protesta manda i...
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● 5 Meazza impegna gli juventini nel campionato 1930-1931: vincono i bianconeri 3-2 il 18 gennaio 1931 ● 6 Penzo decide il 5 maggio 1946 per l’Inter (1-0) ● 7 Il 28 maggio 1967 Sarti non trattiene il cross di Di Giacomo e l’Inter perde 1-0 a Mantova....
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