La Gazzetta dello Sport

LA FERRARI È VELOCE DEVE ESSERE PIÙ CATTIVA

L’incidente tra Ricciardo e Verstappen della Red Bull a Baku

- LA RIFLESSION­E di ANDREA CREMONESI

Meglio ingaggiare due campioni che, spingendos­i l’un l’altro ad andar forte, alzano l’asticella delle prestazion­i pur col rischio di strapparsi punti pesanti o di finire come Ricciardo e Verstappen a Baku? O tenere a stipendio un solo pilota superstar col pericolo che, perso lui, non si vincano gare e Mondiali? La risposta certa non esiste. Lo dice la storia delle corse. I «nemici» Senna e Prost fecero grande la McLarenHon­da di Ron Dennis , anche perché in quel frangente (1988-89) i rivali non reggevano il confronto e i loro litigi non avevano pesanti conseguenz­e sulla classifica. Ma mettere sotto lo stesso tetto Jones e Reutemann si rivelò rovinoso invece per Frank Williams: malgrado una macchina eccellente, il titolo 1981 finì a Nelson Piquet. Stessa storia cinque anni più tardi quando la rivalità Piquet-Mansell, sempre in casa Williams, favorì Prost con la McLaren-Porsche.

La Mercedes, per tornare all’oggi, dopo aver dovuto gestire la difficile convivenza tra Hamilton e Rosberg, che pure ha fruttato 3 titoli, ha preferito affiancare Bottas a Lewis. Ne ha guadagnato l’armonia all’interno del team, ma qualche volta è sorto il sospetto che l’assenza di una concorrenz­a più accesa abbia interferit­o, frenandolo, lo sviluppo della macchina. Veniamo alla Ferrari: dal 1996 con l’ingaggio di Michael Schumacher ha preso una strada precisa che ha resistito al passaggio di testimone da Montezemol­o a Marchionne. Perché se è vero che oggi ci sono due campioni del mondo sotto contratto (Vettel e Raikkonen), non ci può essere alcun dubbio che sia il tedesco il designato a riportare a Maranello un titolo che manca dal 2007, provando a fare ciò che non è riuscito ad Alonso. Una scelta strategica che però non ha messo il Cavallino al riparo dai mal di pancia dei vari Irvine, Barrichell­o (ricordate Zeltweg 2002?), Massa e Raikkonen.

Anche Enzo Ferrari amava la competizio­ne interna, ma c’era un confine invalicabi­le: l’interesse primario del Cavallino. Liberi di correre senza buttarsi fuori. Niki Lauda, in occasione del pasticcio tra Vettel e Raikkonen a Singapore a settembre, raccontava, sorridendo, la brusca convocazio­ne a Maranello (con annessa, lunga anticamera) quando gli capitò di scontrarsi con Regazzoni. E proprio il Grande Vecchio fu testimone di quali terribili conseguenz­e può portare una sfida senza quartiere tra compagni di squadra: la tragedia di Zolder ‘82 frutto del malessere di Villeneuve per il «tradimento» di Pironi a Imola.

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