ARU SCATTA «SONO PRONTO, SENZA LIMITI E HO TANTA FEDE»
●Il campione d’Italia si lancia sul Giro «Sereno, spensierato: non mi metto limiti»
Lo scalatore sardo da oggi in Israele. Venerdì il via con la crono di Gerusalemme: «Credo in Dio e nella forza dello sport che unisce i popoli»
Il tricolore verde-biancorosso gli avvolge il corpo, e la cosa è facilmente constatabile: Fabio Aru è il campione d’Italia in carica. Gli stessi colori gli fanno battere forte il cuore, e qui bisogna conoscere il sardo fino in fondo per capire davvero. Fiero e orgoglioso come la sua isola meravigliosa, icona di talento e forza di volontà per raggiungere le vette più alte, Fabio ha un soprannome da fiaba: il Cavaliere dei Quattro Mori. Nel pomeriggio di oggi arriva a Gerusalemme e, a meno tre giorni dalla storica grande partenza del Giro 101, alla Gazzetta racconta quello che vuole scrivere nelle prossime tre settimane e mezzo: non una fiaba, piuttosto una storia vera. Di grande umanità e grande ciclismo. Pagine rosa. Con il finale all’ombra del Colosseo, possibilmente, della stessa tinta.
Aru, questo Giro unisce idealmente Gerusalemme a Roma. Gerusalemme è santa per le tre grandi religioni monoteistiche: cristianesimo, ebraismo, islam. Roma è la casa della cristianità. Che cosa significa per lei?
«Tutto questo non può lasciarmi indifferente. Credo in Dio e, quando la professione me ne lascia l’opportunità, vado a Messa. Prima di ogni gara mi faccio il segno della croce e non è una scaramanzia, ma qualcosa che sento dentro. In Israele non sono mai stato e non vedo l’ora di scoprire questi luoghi. Negli ultimi giorni, mi hanno chiesto se provo anche un sentimento di paura. No, il contrario: semmai entusiasmo. Lo sport ha una forza immensa. È una cosa diversa dalla politica, ma ne abbiamo avuto già esempi in passato: lo sport può aiutare l’unione tra i popoli».
Come vive la partenza di un Giro d’Italia dall’estero?
«Ho già vissuto personalmente quella da Belfast, quattro anni fa. Fu sorprendente. Il Giro all’estero ha un seguito difficile da credere se non lo verifichi personalmente. Certo, non mancò l’entusiasmo anche a Napoli e a Sanremo, le altre partenze che ho fatto. Però credo che sarà speciale anche stavolta. Saremo poi in Sicilia già lunedì, e avremo in tempo di goderci la nostra terra bellissima. L’abbraccio che il Giro trova all’estero è indescrivibile».
Ha preparato le valigie in vista di un grande giro per la nona volta. Ha qualche rito? Che cosa non deve mancare? Come ha vissuto l’attesa prima di partire?
«Faccio tutto personalmente, perché so dove mettere le mani. La prima cosa a cui penso è il phon per asciugare i capelli, magari quello dell’hotel può non piacermi. Ne ho comprato da poco uno molto bello. I capelli li asciugo sempre con la massima cura per evitare cervicalgie e altri problemi. In ritiro…porto sempre la bilancia, ma quella al Giro di solito si trova».
E per il tempo libero ha qualcosa? Ammesso che al Giro se ne abbia…
«Poco, molto poco. Per la musica, Spotify è un compagno inseparabile. E poi c’è Netflix, che mi intriga parecchio. Mi è piaciuta molto la serie The Crown, sulla regina d’Inghilterra Elisabetta II. Così come El Chapo e Narcos. Appena possibile vorrei cominciare la Casa di Carta».
Aru, lei arriva al Giro con 22 giorni di competizione e nessun successo. Il miglior risultato è un quarto posto di tappa alla Tirreno-Adriatico. È corretta l’impressione secondo la quale ha cercato di prepararsi in modo da arrivare al top per gli ultimi dieci giorni di Giro? Anche considerando esperienze come
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l’ultimo Tour, in cui aveva concluso meno forte di come aveva cominciato.
«Sì, è stata una scelta precisa, condivisa col mio preparatore Paolo Tiralongo e il resto del team. Si è visto al Tour of the Alps, dove stavo abbastanza bene ma mi mancava qualcosa rispetto ai primi. Logico: al Giro conta ognuna delle 21 tappe e bisogna farsi trovare pronti fin da subito, ma dallo Zoncolan fino a Cervinia ci aspettano giorni durissimi. E poi sarà importante anche la seconda parte della stagione, con il Mondiale e, prima, la Vuelta».
Per questo non ha neppure partecipato a Sanremo e Liegi? In inverno,si pensava volesse correre di più e cimentarsi più spesso nelle grandi corse di un giorno.
«Sì, nel ciclismo moderno bisogna fare delle scelte e, in passato, a volte ho forzato erroneamente i tempi. Ma nelle mie corde quelle grandi corse restano, per esempio verso fine anno ci sono Mondiale e Lombardia… E poi guardi, ormai sono professionista da sei anni e ho notato che ormai non basta più neanche il 101 per cento per vincere, serve il 110. Non solo nei grandi appuntamenti. Al recente Tour of the Alps ho potuto fare un confronto con la mia ultima partecipazione nella stessa corsa di qualche anno prima. In ogni tappa, 30 watt medi in più. A volte anche quaranta».
Il suo Giro d’Italia si giocherà in salita, le conosce quasi tutte e spesso ha dei ricordi belli, vedi Cervinia dove vinse nel 2015. Ma ci parli anzitutto del versante dell’Etna che vi aspetta alla sesta tappa, il primo vero test.
«Rispetto alla scalata che si fa di solito, sarà molto più duro. A metà, ci sono due chilometri veramente impegnativi. E degli ultimi 3-4 km, uno è tostissimo. Inoltre è meno esposto al vento, che nelle ultime volte da altri versanti ha frenato gli attacchi».
E lo Zoncolan? Lei lo ha affrontato in competizione solo una volta, nel 2014. Che rapporto ha con quella che viene ritenuta la salita più dura d’Europa?
«Mi galvanizza, mi gasa tutto ciò che è storico. E lo Zoncolan ha una storia incredibile. Si sono decisi dei Giri d’Italia, mi ricordo in particolare quello vinto da Basso nel 2010. E la panoramica con tutta quella gente sulla collina mi ricorda il Colle delle Finestre. Sono dei magnifici teatri a cielo aperto».
Se immaginiamo i pronostici della vigilia come la griglia di un Gran Premio di Formula 1, le due bici in prima fila sono quelle di Froome e Dumoulin. Lei viene subito dopo. Ci può stare o crede sia una lettura superficiale?
«Ci può stare. Ci sono due cronometro e quella di Trento è molto veloce. Hanno un vantaggio. Dumoulin è campione del Mondo della specialità e Froome all’ultimo mondiale è arrivato terzo. Io ho lavorato molto a cronometro per limitare i danni. Diciamo anche, però, che c’è molto terreno, molta salita per recuperare e guadagnare tempo».
Quali sono gli altri nomi da seguire?
«Pinot, Pozzovivo, Lopez, Bennett, Simon Yates, Chaves, Formolo. Diciamo che ce ne sono una quindicina da prendere in considerazione».
La sorpresa?
«Se non vogliamo dire Lopez, diciamo Formolo».
Conoscendola, immaginiamo che non firmerebbe per nessun risultato che non sia la vittoria finale. Giusto?
«Giusto. Non mi piace fare pronostici e non mi pongo limiti. Per uno sportivo penso sia così, non appartiene alla nostra natura porci delle barriere già in partenza. Sarebbe sbagliato. “Mi accontenterei”… No, non lo dico, non mi piace. Sono pronto ad affrontare questo Giro con spensieratezza e serenità, consapevole di essermi preparato molto bene. Sono dove volevo essere».
C’è da dire che fino ad ora la sua UAE-Emirates, protagonista in fase di mercato con l’arrivo anche di Kristoff e Daniel Martin, ha ottenuto risultati inferiori alle attese. Lo stesso general manager Saronni non ha nascosto di attendersi molto da lei al Giro. Si tratta di una pressione sgradita? O di uno stimolo in più?
«Ho trovato un team e un manager come Beppe che credono in me al duecento per cento. Mi hanno messo a disposizione tutto quello di cui avevo bisogno, dai ritiri in altura ai materiali. L’inizio di stagione non è stato idilliaco, è vero. Abbiamo raccolto un decimo di quello che è nelle nostre possibilità, per un motivo o per un altro: arriviamo al Giro molto agguerriti. Mi è già successo, lo scorso anno all’Astana per esempio. Però, nonostante questo, non mi è stata messa la minima pressione. Ci sono tante aspettative, sì. Ma io sono il primo ad averle».
«CON TIRALONGO S’È SCELTO DI PUNTARE A ESSERE AL TOP ALLA FINE» SUL SUO MENTORE E LA PREPARAZIONE «CREDO IN DIO E NELLA FORZA DELLO SPORT CHE UNISCE I POPOLI» SU GERUSALEMME E IL VALORE DELLA PARTENZA