Casa Gazzetta Andreazzoli: «Il mio Empoli in stile Agassi»
Ijeans alla moda e il fisico asciutto mascherano i 64 anni di Aurelio Andreazzoli, agile e disinvolto come l’Empoli appena condotto in Serie A e che - prima volta in sei promozioni dalla B - chiuderà il campionato da capolista. Per la sua prima, vera intervista - a parte quelle da contratto nei pre e post gara - ha scelto la redazione della Gazzetta, dove ha raccontato i segreti di una squadra bellissima, efficace nei numeri e dominatrice in un campionato molto equilibrato. Una vera coccarda per un allenatore che, in precedenza, non era mai salito alla ribalta.
Andreazzoli, lei fino a metà dicembre guardava il calcio in tv e si divertiva in bicicletta. E poi?
«E poi è arrivata la chiamata dell’Empoli. Che all’inizio mi ha dato un po’ di “fastidio”, perché mi toglieva dal limbo, dalla tranquillità. Per incontrare i dirigenti ho dovuto tradire il mio gruppo di pedalate. Stavo bene, ma ora sto meglio».
Debuttare in Serie B alla sua età non capita spesso...
«Ho fatto la A con la Roma, ma sono partito dalla Seconda categoria. Mi manca solo la Terza e poi le ho fatte tutte. Chissà».
In precedenza aveva sbagliato qualcosa o aveva sbagliato il calcio a non accorgersi di lei?
«Sono sempre stato nel calcio con rispetto e attenzione. Non mi lamento di quello che è stato, ho sempre preferito restare nell’ombra. Il mio non è un mestiere semplice: ho consigliato al nostro d.s. Accardi, che è giovane e ha una carriera davanti, di essere sempre molto esigente nella scelta degli allenatori».
Un problema che Accardi si deve porre adesso: resterà anche in A?
«Dovete chiederlo a lui». Pietro Accardi, seduto accanto con il d.g. Andrea Butti, annuisce: «Il problema non si pone».
Quindi Andreazzoli è pronto per il ritorno in A dopo quei mesi del 2013 alla Roma, chiusi traumaticamente con la sconfitta in finale di Coppa Italia con la Lazio?
«Questa promozione con l’Empoli colma quella delusione. Ora sono felice di continuare per la sintonia che ho trovato con lo staff, con due manager giovani come Butti e Accardi».
Potrebbe essere loro padre.
«Torno a essere padre dopo essere diventato nonno. Essere padre vuol dire trasmettere qualcosa e contribuire alla crescita dei figli: un bel successo».
In Serie A sono arrivati tanti allenatori giovani, non sempre con buoni risultati, anzi... Oggi si rivaluta il valore dell’esperienza?
«Penso di sì. Conta la qualità delle scelte, i valori, non le mode. Il giudizio sugli allenatori lo devono dare i comportamenti delle squadre».
Per questo, invece di fare le interviste, preferiva far parlare le partite dell’Empoli?
«Esatto. A me non interessa la vetrina. La vetrina di un allenatore deve essere la squadra. Per me parla solo il lavoro».
Come sono stati gli anni vissuti accanto a Spalletti?
«Non molla un pelo, è cocciuto. Mi ha insegnato ad andare al campo dalle 8.30 alle 19. Cosa che faccio ancora adesso».
Com’è cambiato negli anni il suo modo di lavorare?
«Negli ultimi 15 anni è sempre lo stesso calcio. Cambia quello che si pretende dagli allenatori. Io però 15 anni fa facevo cose che adesso non rifaccio, la mia cartella degli esercizi è cambiata molto e quest’anno ne ho trovati di nuovi».
Ossia?
«Ho 30 esercizi, 20 più importanti, 10 fondamentali, 5 essenziali. E se li riduci a 3, è meglio. Rispetto al mio pacchetto di esercitazioni di 15 anni fa ne ho tenuta soltanto una».
Quale?
Si alza e va alla lavagna: «Guardate le partite, oggi si gioca in 35 metri. Quindi i nostri esercizi si svolgono in partite 10 contro 10 in 35 metri, a uno o due tocchi per la velocità, tre se cerco la precisione. Sono esercizi che servono per l’ampiezza e per trovare spazi e andare in porta, con almeno 4 attaccanti ad aspettare l’assist, mentre un mio collaboratore fa ripartire l’azione per costringere gli altri 5 a coprire».
In calcio si evolve.
«Ho imparato a far filmare gli allenamenti con il drone. E’ utilissimo. Un calciatore vede bene gli spazi che ha a disposizione. E poi facciamo clip sugli avversari da mandare ai giocatori per farli studiare. Ma il tempo non basta mai, ci sono tante situazioni da mettere a posto, da provare e riprovare per avere risposte dal campo».
Con lei, dopo aver preso il posto di Vivarini, l’Empoli non ha mai perso ed è decollato verso la A. Come ha fatto in così poco tempo a conquistare la squadra?
«E’ fondamentale per un allenatore dare un’identità più in fretta possibile. Chi fa questo mestiere non si deve nascondere con la scusa del poco tempo. Quando sono arrivato l’Empoli era reduce da 5 risultati utili di fila. La novità stuzzica, io ho cercato di incuriosire per farmi seguire: c’erano giocatori scelti da Vivarini, per conquistarli ho dovuto portare dei fatti».
Quando ha visto il vero Empoli?
«A Bari (quarta partita, 27 gennaio, 0-4 ndr) ho capito che eravamo sulla strada giusta e che potevamo fare grandi cose. E avevo fatto solo 19 allenamenti. I giocatori hanno un senso del giudizio altissimo: capiscono subito chi sei».
L’Empoli giocava a tre in difesa e senza il trequartista. Con lei è passato al 4-3-1-2: sarà così anche in Serie A?
«La qualità dei giocatori fa la differenza. In A i giocatori sono molto forti e non puoi fare cose che noi facciamo in B. Di Lorenzo e Pasqual, due terzini, spesso diventano ali pure: in A serviranno altri accorgimenti per attaccare».
Cosa serve all’Empoli per la A?
«Bisogna ragionare in base ai giocatori che si hanno, non dietro a un’idea prestabilita. Se la condividi con chi deve metterla in pratica e i calciatori sono felici di realizzarla, vai a dama. Da quello che dicono, so che i nostri stanno bene: gli avversari si sfiancano mentre noi
UN COACH GLI HA DETTO: CONTA FARE I PUNTI, NON ESSERE PERFETTI
SU ANDRÉ AGASSI EX TENNISTA HO CONQUISTATO CON I FATTI I GIOCATORI CHE AVEVA PORTATO
SU VINCENZO VIVARINI EX ALLENATORE DELL’EMPOLI
«E’ IL GIOCO SPORCO CHE CREA LE CONDIZIONI PER
ANDARE IN GOL CON AZIONI PULITE: L’HO LETTO NEL LIBRO DEL TENNISTA.
NOI FACCIAMO BEL CALCIO E GLI ALTRI SI STANCANO»
ci divertiamo. Non bisogna dimenticare l’aspetto infantile e ludico di questo sport».
Un po’ quello che dice Allegri: spazio al talento.
«Basta guardare la panchina e capisci perché la Juve vince».
Eppure lei viene accostato a Sarri: le pesa?
«No, anzi: mi fa onore. Mi piace da morire come gioca il Napoli, il suo calcio è una linea guida in Europa per i tecnici».
A differenza sua però lei ha vinto.
«Vincere aiuta.
In campo ci divertiamo. Vedete, io dopo l’università sono andato a lavorato come metalmeccanico, e lavoravo per obbligo, non perché mi piaceva. Chi rende lavorando malvolentieri? Conta avere giocatori felici, così trovano la soluzione da soli. L’allenatore è lì per dare le risposte».
Su quali situazioni tattiche lavora di più?
«Ho letto il libro di André Agassi, mi ha colpito quando un suo coach gli ha detto che non contano solo i punti decisivi, ma tutti. Guardate come gioca il Barcellona. Il gioco sporco mette in difficoltà l’avversario e crea le condizioni per arrivare in area con azioni pulite».
E poi in panchina si mette con le braccia conserte a guardare le partite, senza intervenire...
«Vedo colleghi che si sbracciano e urlano, non capisco... Quando una squadra segue il canovaccio stabilito, cosa le vuoi dire?».
La A le darà tante emozioni: una su tutte?
«Da Roma mi martellano, mi aspettano... Ma sarà stimolante sfidare Luciano (Spalletti, ndr)».
Questo Empoli si salverebbe in Serie A?
«Caputo e Donnarumma hanno fatto 45 gol, la A vista da dentro è molto tosta, un altro mondo. Ci servono muscoli, ma anche tecnica. E non parliamo della Champions: lì, quando un giocatore calcia, la palla fa un rumore diverso...».
UN MARTELLO: MI HA INSEGNATO A STARE ORE E ORE SUL CAMPO SU LUCIANO SPALLETTI ALLENATORE DELL’INTER IL SUO CALCIO È UNA LINEA GUIDA PER TANTI TECNICI IN EUROPA SU MAURIZIO SARRI ALLENATORE DEL NAPOLI