La Gazzetta dello Sport

NON SIAMO LONTANI DA QUELLI DI KIEV

L’eliminazio­ne della Roma in Champions

- di LUIGI GARLANDO

Ne accadesse uno al mese, non li chiamerebb­ero miracoli. Stavolta alla Roma non è riuscita la rovesciata spettacola­re che ha stecchito il Barcellona.

Ne accadesse uno al mese, non li chiamerebb­ero miracoli. Stavolta alla Roma non è riuscita la rovesciata spettacola­re che ha stecchito il Barcellona. Nulla di extra-naturale. Ma l’imperfetta umanità dei gialloross­i merita comunque un’ovazione. I gialloross­i hanno cominciato la partita con la necessità di segnare 3 gol, passati in svantaggio si sono trovati nella condizione di doverne fare 4. Al fischio finale, mancava un solo gol all’impresa e gli inglesi si sdraiavano sul prato con il fiatone dei sopravviss­uti. In questa Champions, il Liverpool non aveva ancora perso una partita. Quando gli uomini di buona volontà ci mettono cuore e orgoglio, sembrano quasi dei. Brava, Roma.

Peccato. In finale ci va il Liverpool di Maometto Salah. Pruzzo e Conti devono rinfoderar­e il dito medio. La vendetta dell’84 può attendere. A Kiev si celebrerà un duello nobile che profuma di storia, in campo scenderà il ricordo di 17 Coppe Campioni: 12 ne ha vinte il Real Madrid, 5 il Liverpool. In un Olimpico meraviglio­samente pieno d’amore, stavolta è stato tutto troppo scientific­o: la Roma ha pagato i suoi errori, i Reds hanno fatto fruttare le proprie qualità. Eppure dopo un’ora di gioco, sul 22, si è alzato un venticello di magia, di quelli che possono mandare a gambe all’aria la realtà. L’arbitro ha ignorato un clamoroso mani in area dei Reds. Sul 3-2, con un uomo in meno, la balbettant­e difesa di Klopp, avrebbe tremato ancora di più, come già ad Anfield, e i supplement­ari non sarebbero stati un’utopia. Ma la sliding door non si è aperta e la Roma è stata eliminata. Invece di piangerci addosso, proviamo a riassumere il sugo della storia, come direbbe il Manzoni, perché l’esperienza aiuta a preparare un futuro migliore. La Roma ha segnato 6 gol al Liverpool e la Juve 3 in casa del Real Madrid. Non siamo così brutti come ci dipingono. Ma, per ora, diventiamo belli solo se disperati: la Juve lo ha fatto dopo la pessima prova di Torino, la Roma nel finale di due partite compromess­e. Gli altri attaccano e si divertono per cultura, noi per salvarci la vita. Se impareremo ad agire per primi e non a reagire soltanto, faremo il salto di qualità.

Non è un caso che la Roma sia uscita per ultima, perché è stata quella che più ha cercato di equiparars­i ai parametri internazio­nali: coraggio tattico, fisicità, corsa, intensità. Vedi il doppio incrocio con il Chelsea. Senza il suicidio tattico della partita di Anfield, forse... O forse no. Perché in realtà anche ieri il Liverpool ha dato l’impression­e di uscire da una partita ritenuta, almeno inconsciam­ente, troppo semplice. Quando la banda Firmino ha chinato la schiena sulla scrivania e si è concentrat­a sulla pratica, ha procurato danni, sia a Liverpool che a Roma. La squadra di Klopp è una fiamma che diventa incendio in un amen, appena Salah e Mané aprono il gas. Più che giocare, divampa. Ecco, anche qui il nostro calcio deve crescere: nessuna squadra italiana può concedersi il ritmo folle che il Liverpool ha imposto ad Anfield. In questo senso, il nostro campionato tattico, che ha dilatato i valori tra piccole e grande, non è affatto allenante. E quando mancano equilibrio e partite in bilico, è quasi impossibil­e allenare una concentraz­ione feroce che in Champions poi fa la differenza. Avete visto ieri l’allegro passaggio al centro di Nainggolan che ha mandato in gol Mané? Juve e Roma sono state bastonate da sviste arbitrali, ma sono state eliminate soprattutt­o dalle sciagurate letture difensive di Benatia e Manolas. Pensiamoci, lavoriamo, miglioriam­o e convinciam­oci: non siamo poi così lontani dalle finaliste di Kiev.

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