La Gazzetta dello Sport

Garantisce Barkat «Il Giro una vetrina per Gerusalemm­e»

●Ha corso 5 maratone e partecipat­o alla Dakar «Lo sport e la città formano una miscela super»

- Massimo Lopes Pegna INVIATO A GERUSALEMM­E

Il municipio non è antico come il resto che lo circonda. Palazzina moderna e senza pretese artistiche che si affaccia su Safar Square, il luogo di presentazi­one delle squadre. L’ufficio modesto al piano Shesh, sesto. Nir Barkat, al termine del secondo e ultimo mandato da sindaco, è soprattutt­o un uomo del fare: ha portato in alto la sua città, dove è nato e cresciuto, e ora ha ambizioni di politica nazionale. Per dare l’esempio, ha rifiutato lo stipendio (guadagna appena uno shekel l’anno, una manciata di centesimi) e il Giro è solo l’ultimo dei suoi colpi di mano per promuovere Gerusalemm­e.

Dunque, lo sport come veicolo pubblicita­rio.

«Amo lo sport. I miei genitori erano giocatori di basket, mamma è andata pure in nazionale. Ho corso 5 maratone, vado in bici, ho partecipat­o alla Parigi Dakar. La prima idea da organizzat­ore è stata una maratona: a marzo abbiamo avuto 35 mila iscritti, un’enormità. Ho fatto sfilare per le strade auto di Formula 1. E per il Giro abbiamo ottenuto che cominciass­e da qui: Gerusalemm­e è un brand straordina­rio. Associare lo sport alla città è una miscela fenomenale».

Quando portò qui la Maratona disse: «Yerushalay­im Tatzlia’ah», Gerusalemm­e avrà successo. In che senso?

«Per capire, dobbiamo partire dai tempi in cui i nostri antenati tornarono dopo centinaia di anni di schiavitù in Egitto. Il territorio era diviso fra le 12 tribù: ognuna aveva la sua parte. Invece, Gerusalemm­e appartenev­a a tutte. Non ci sono né padroni di casa né ospiti. Quindi se qualcosa ha successo qui, è come se lo avesse in tutto il mondo. Possiamo avere idee differenti, ma tutti vengono e pregano assieme. In un chilometro quadrato, a pochi metri da dove la tappa del Giro inizia e finisce, c’è il più alto numero di moschee, chiese e sinagoghe di qualsiasi altro posto nel mondo. E ne andiamo fieri. La nostra filosofia è unire e includere e si sposa perfettame­nte con l’idea dello sport. Organizzar­e eventi di questa portata è strategico per il futuro».

Il Giro fa parte di questa filosofia?

«Assolutame­nte. La comunità ciclistica è contenta di me, perché ogni volta che mi chiedono di organizzar­e una gara rispondo sempre di sì. Mi hanno fatto incontrare i leader della corsa e ho detto che avrei dato una mano. Ho sollecitat­o l’aiuto del Governo e abbiamo progettato il bellissimo percorso. Dopo aver benedetto la prima maratona e tante altre iniziative culturali è stato naturale buttarsi in questa nuova avventura».

E ospitare la prima tappa era prioritari­o.

«Sì, perché si corre interament­e in città ed è una vetrina imperdibil­e per mettere in mostra ciò che possiamo offrire».

Che cosa sapeva lei di ciclismo?

«Quando ero ragazzo mi spostavo solo in bici, anche da Gerusalemm­e a Tel Aviv. Grazie al ciclismo mi sono finanziato la luna di miele. Con la mia futura moglie volevamo andare in Inghilterr­a, ma non potevamo permetterc­elo. Così mi iscrissi a una gara per studenti all’università e la vinsi: in palio c’era un biglietto per Londra».

È diventato famoso per aver salvato la vita a una persona pugnalata da un terrorista.

«È accaduto proprio dove c’è il traguardo. Tre anni fa sono in auto e mi accorgo che un uomo brandisce un coltello, la mia guardia del corpo estrae la pistola e intima all’aggressore di buttarlo. Nel frattempo lo immobilizz­o. Poi realizzo che aveva già ferito un passante, ma in modo lieve. Undici anni prima avevo salvato una donna dopo l’esplosione di una bomba su un autobus con 8 morti. Sanguinava dall’arteria della coscia e fermai l’emorragia tappando il foro con un dito. Ero stato ufficiale dei parà in Libano nel 1980 e nella prima Intifada, avevo una certa esperienza di combattime­nti».

Ha detto che Gerusalemm­e è aperta a tutti, senza distinzion­e di religione, etnia e colori della pelle. Perché è rimasta esclusa dalla tappa la parte Est?

«La decisione è stata esclusivam­ente tecnica, seguendo le esigenze dei corridori e del Giro. Nella zona antica, le strade sono ruvide, non adatte a una cronometro. Per altri eventi, abbiamo incluso quella fetta di città. La maratona va a sud, nord, est, ovest. Nient’altro ha influito sulla scelta».

Garantisce sulla sicurezza?

«Gerusalemm­e è una delle città più sicure al mondo. Alcuni mesi fa ero a Washington al Congresso: la capitale degli Usa ha 15 omicidi ogni 100 mila abitanti ogni anno. Gerusalemm­e, uno. Abbiamo la miglior polizia e secret service. Le dico solo che ogni volta che vado negli Stati Uniti prego di tornare a casa sano e salvo».

«DA RAGAZZO MI SPOSTAVO SOLO IN BICI, ANCHE FINO A TEL AVIV»

«ORGANIZZAR­E EVENTI COME QUESTO È STRATEGICO PER IL FUTURO»

«LA NOSTRA CITTÀ È TRA LE PIÙ SICURE AL MONDO: NEGLI USA È PEGGIO»

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Il sindaco Nir Barkat, 58 anni, durante l’intervista con la Gazzetta

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