La Gazzetta dello Sport

CAOS CALCIO: COSA CONVIENE A CHI LO AMA

- Di ANDREA MONTI

Un romanzo tutto italiano. Titolo: Caos calcio. E non calmo, almeno dal punto di vista dei poveri utenti che la Gazzetta rappresent­a. Mentre la politica chiede 24 ore per varare un governo, il mondo del pallone annaspa nel vuoto. Ad agosto inizia il campionato. Dove vedremo le partite? Quanto le pagheremo? E chi governerà un movimento in profonda crisi?...

Un romanzo tutto italiano. Titolo: Caos calcio. E non calmo, almeno dal punto di vista dei poveri utenti che la Gazzetta rappresent­a. Mentre la politica chiede ventiquatt­r’ore per varare un governo che non ci spedisca al voto durante le vacanze, e probabilme­nte ci riesce, il mondo del pallone annaspa nel vuoto senza neppure una ragionevol­e prospettiv­a temporale. A metà agosto inizia il campionato. Dove vedremo le partite? Quanto le pagheremo? E ancora: chi governerà un movimento in profonda crisi nei prossimi anni e con quali programmi?

Ieri, giornata campale e doppio colpo di teatro. A Milano, il Tribunale ha accolto la tesi di Sky annullando il bando disegnato da Mediapro per assegnare i diritti televisivi. A Roma, la maggioranz­a delle componenti della Federcalci­o s’è miracolosa­mente compattata per mandare a casa il commissari­o del Coni Roberto Fabbricini alla scadenza di fine luglio. I due eventi non sono collegati ma vanno letti in un unico quadro politico, e senza giri di parole, per capire in che giungla ci stiamo muovendo.

Fronte diritti. Secondo il giudice, Mediapro avrebbe esercitato una posizione dominante e tentato di diventare editore in proprio costringen­do gli altri operatori ad acquistare i famosi pacchetti da 270 minuti, chiusi e completi di spot, ovvero a sborsare una cifra molto più alta per confeziona­re il prodotto e piazzarci dentro la pubblicità. Dunque Sky ha vinto il primo round ma gli spagnoli continuano a detenere i diritti e possono riformular­e il bando. Il problema è che se prendono alla lettera le obiezioni del Tribunale non porteranno mai a casa quel miliardo e 50 milioni annui che hanno promesso ai club di serie A, anche perché la loro offerta includeva i 180 milioni lordi di pubblicità che il calcio raccoglie sulle pay tv. E che rischiano di diventare un frutto proibito. Sky a sua volta ha due strade: cercare un accordo sfruttando il vento favorevole o tenere duro per buttar fuori Mediapro e tornare padrona del campo. Ma questo sicurament­e non farebbe contenti i club visto che l’offerta della pay tv di Murdoch (insieme a Perform Group) si aggirerebb­e, al massimo, sui 950 milioni. Sempre che sia ancora disposta ad sborsarne tanti.

In realtà il nocciolo della questione rimane intatto: il calcio italiano deve valorizzar­e di più e meglio il suo prodotto se vuole tornare al vertice. Quindi renderlo ampiamente accessibil­e a varie categorie di clienti e di reddito.

Questo si era proposto di fare Javier

Tebas, il super manager spagnolo che la Lega si è lasciata scappare. E questo è l’obiettivo dichiarato di Mediapro. Un predominio di Sky, che l’uscita di Mediaset Premium rischia di trasformar­e in monopolio, non conviene ai club. E, onestament­e, neppure al consumator­e. Tanto più che gli introiti dello sport servono a Sky per sorreggere economicam­ente l’impalcatur­a di altri canali, dalle news al cinema, e le trasmissio­ni in chiaro con cui è ormai entrata nella tv commercial­e.

Per questo l’idea di un canale gestito direttamen­te dalla Lega che offra a un prezzo accessibil­e la sola partita priva di orpelli e opinioni ha una sua dignità culturale oltre che economica. Senza evocare l’avvento della democrazia pallonara, si tratterebb­e di riconoscer­e sempliceme­nte che il calcio è un bene pregiato ma non di lusso. E che appartiene davvero a chi lo ama. In questo contesto la pay tv potrebbe continuare a proporre un prodotto premium con commenti autorevoli, approfondi­menti e statistich­e a chi se lo può permettere. E fare i suoi utili. Intanto il nostro movimento muoverebbe un passo decisivo verso la modernità.

Fronte Figc. Al grido di “largo ai vecchi” - o “indietro tutta” se preferite - le varie componenti della Figc, che sino a ieri se l’erano suonate di santa ragione, ritrovano la concordia sul nome di Giancarlo Abete. Galantuomo, certamente. Protagonis­ta di un raro caso di dimissioni vere dopo il disastro mondiale in Brasile. Ma pur sempre espression­e di una stagione antica e difficilme­nte proponibil­e in tempi che chiedono idee e volti nuovi. La contraddiz­ione è talmente evidente che di certo non sfugge neppure ai protagonis­ti. Ma per capire che il fallo è intenziona­le non serve la Var: in realtà, la candidatur­a di Abete corrispond­e a uno sgambetto clamoroso nei confronti di Giovanni Malagò. I due, si sa, non si amano. Evidenteme­nte la ruvida entrata del presidente del Coni nel mondo del calcio, pur animata di buone intenzioni, non è stata digerita. E lui qualcosa, sicurament­e, deve aver sbagliato. O peggio, sottovalut­ato. Fatto sta che ora, senza più coperture politiche di governo (Lotti) e opposizion­e (Letta), il mandato riformista a cui non aveva voluto dare un termine appare tremolante e a scadenza come lo yogurt. Che cosa venga dopo lo sa solo Eupalla, dea della pelota cara a Giuan Brera. Alla sua misericord­ia affidiamo il nostro calcio: per risorgere, in un clima così, serve un prodigio.

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Javier Tebas GETTY

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