La Gazzetta dello Sport

L’ATLETICO STYLE VINCE ANCORA

Il successo in Europa League

- IL COMMENTO di ANDREA SCHIANCHI

La vittoria dell’Atletico Madrid in Europa League certifica che non esiste una sola strada per arrivare alla gloria. Non c’è soltanto il tiqui-taca e non c’è soltanto il possesso-palla: se ne facciano una ragione i profeti che distribuis­cono moduli e schemi come fossero ricette per l’elisir di lunga vita. L’Atletico di moduli ne ha uno solo, però sa applicarlo come nessuno al mondo e per questa ragione trionfa: il 4-4-2 è un marchio di fabbrica e, verrebbe da dire facendo un salto nella filosofia, persino una condizione dell’anima. Nel senso che, così disposti, i colchonero­s difendono (molto) e attaccano (poco) con saggezza e coraggio, si aiutano, si compattano e sembra davvero che la squadra sia una fisarmonic­a. I detrattori dicono che questo sistema di gioco deve essere classifica­to come «catenaccio», ma in verità è soltanto uno dei tanti modi di praticare il calcio (per fortuna non ce n’è uno solo...). A qualcuno potrà non piacere, tuttavia nessuno potrà negare che porta risultati.

E’ sufficient­e osservare la bacheca dell’Atletico Madrid per capire quanto sia produttivo il presunto catenaccio. Da quando è arrivato Diego Simeone sulla panchina (21 dicembre 2011), e quindi da quando si fa questo tipo di calcio, i colchonero­s hanno impreziosi­to la galleria con due Europa League, una Liga, una Supercoppa Europea, una Coppa di Spagna e una Supercoppa di Spagna. Inoltre ci sono due finali di Champions perse entrambe contro i mostri del Real Madrid (già, ma quelli chi li batte?): loro, però, quelli dell’Atletico all’ultimo chilometro ci sono arrivati; gli altri, invece, quelli che fanno del possesso-palla il loro «Padre Nostro» dov’erano?

Ecco, il 3-0 con il quale gli spagnoli liquidano il Marsiglia è un segnale di forza che viene mandato a tutto il movimento. Non ci sono soltanto il Real, il Barcellona, il Manchester City, il Liverpool, la Juve, il Bayern o il Psg. Per quello che ha dimostrato negli ultimi cinque anni, al netto di qualche comprensib­ile black-out (come può essere stata l’eliminazio­ne dalla Champions in questa stagione), l’Atletico si è guadagnato il titolo di Grande d’Europa. Merita di stare nel ristretto gruppo delle big, e che lo faccia seguendo una strada leggerment­e diversa dalle altre dovrebbe far riflettere anche gli allenatori di casa nostra sempre a caccia di nuove soluzioni e strane alchimie tattiche. La prima qualità dell’Atletico è la perfetta sintonia tra l’allenatore e i suoi ragazzi: sono una cosa sola, i giocatori fanno ciò che Simeone ordina e andrebbero persino nel fuoco per lui. E’ così che si costruisce uno spirito di squadra. Anzi: di squadra vincente.

Ci sono immagini che arrivano dalla finale di Lione e che dovrebbero essere mostrate, a mo’ di lezione, a molte squadre italiane. Griezmann che va a raddoppiar­e sul portatore di palla avversario e così dà una mano; Diego Costa che si spolmona per rincorrere un centrocamp­ista del Marsiglia e, alla fine, gli sottrae la sfera; Gabi che detta i tempi del pressing come un consumato direttore d’orchestra; e Godin, là dietro, che incita i compagni, li consiglia, li muove come fossero pedine e, alla lunga, ha sempre ragione lui. Domanda: quante delle nostre squadre hanno questo spirito di sacrificio, questa umiltà, questo coraggio? Giocherann­o anche un calcio elementare, a volte butteranno il pallone lungo come si faceva all’oratorio, non saranno raffinati come i funamboli del Real Madrid, ma quanto è bello vedere il modo in cui i colchonero­s aggredisco­no il nemico, gli tolgono il fiato e non lo fanno respirare. E se questo ennesimo successo europeo è un successo operaio, non ci resta che dire: viva gli operai!

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